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L'ecfrasis nel Piacere di Gabriele d'Annunzio - E-thesis

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formalità, i poeti dello stil novo e i Primitivi <strong>nel</strong>la pittura. La forma preferita è il<br />

sonetto (p. 147). Il sonetto era il genere più popolare anche tra i parnassiani, secondo i<br />

quali assomiglia alla solida materia prima dello scultore. Essi cercano <strong>di</strong> adoperare le<br />

tecniche pittoriche proprio perché per loro la trasposizione delle immagini visive è<br />

l’aspirazione principale della poesia 36 . Per descrivere il carattere del sonetto<br />

D’Annunzio usa una metafora pittorica: «La forma del sonetto [...] è in qualche parte<br />

manchevole; perché somiglia una figura con il busto troppo lungo e le gambe troppo<br />

corte» 37 . Il poeta deve saper correggere la mancanza come i «<strong>di</strong>pintori del<br />

Rinascimento sapevano equilibrare una intiera figura con il semplice svolazzo d’un<br />

nastro o d’un lembo o d’una piega». La forma è come un intelatura che tiene insieme<br />

l’opera, e quando il lavoro <strong>di</strong> Andrea non va avanti come dovrebbe, «tutto il resto gli<br />

si scomponeva come un musaico sconnesso» (p. 147).<br />

L’ispirazione alla trage<strong>di</strong>a La Simona e alle due acqueforti descritte <strong>nel</strong> romanzo<br />

sorge dalla volontà «<strong>di</strong> dar goia all’amante», cioè Elena (p. 93). Nell’arte Andrea è<br />

innanzitutto un calcografo:<br />

46. Il rame attraeva più della carta; l’acido nitrico, più dell’inchiostro; il bulino, più della penna.<br />

[...] Andrea praticava la maniera rembrandtesca a tratti liberi e la maniera nera [corsivi<br />

dell’autore], pre<strong>di</strong>letta dagli acquafortisti inglesi della scuola del Green, del Dixon, dell’Earlom.<br />

Egli [...] aveva imparato da Alberto Durero e del Parmigianino, da Marc’Antonio e dall’Holbein,<br />

da Annibale Carracci e dal Mac-Ardell, da Guido e dal Callotta, dal Toschi e da Gerardo Audran;<br />

ma inten<strong>di</strong>mento suo, d’innanzi al rame, era questo: rischiare con gli effetti <strong>di</strong> luce del Rembrandt<br />

le eleganze <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno de’ Quattrocentisti fiorentini appartenenti alla seconda generazione come<br />

Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandajo e Filippino Lippi. (pp. 94-95)<br />

Quin<strong>di</strong> la gamma degli artisti che esercitano un’influenza su <strong>di</strong> lui procede dal<br />

Quattrocento all’Ottocento (ve<strong>di</strong> p. 95, n. 1). Tuttavia il suo progetto <strong>di</strong> unire la<br />

tecnica del chiaroscuro rembrandtesco, cioè la tonalità, ai contorni netti dei Primitivi<br />

sarebbe <strong>di</strong>fficilmente realizzabile. Poiché l’attività artistica <strong>di</strong> Andrea è priva <strong>di</strong><br />

consistenza e la sua produzione è molto limitata, <strong>nel</strong> romanzo vengono inviduati solo<br />

le copie eseguite nei musei europei e le acquaforti del Sonno (p. 43), dello Zo<strong>di</strong>aco e<br />

della Tazza d’Alessandro (ve<strong>di</strong> sotto). Nel passo che descrive le acquaforti viene<br />

enfatizzata l’esecuzione geniale, <strong>di</strong>fatti è un’elocuzione dell’abilità tecnica <strong>di</strong> Andrea<br />

(p. 97-98), la quale non è il risultato <strong>di</strong> una lunga pratica ma un dono mirabile: «Egli<br />

era nato, in verità, calcografo, come Luca d’Olanda». Perfino le opere letterarie <strong>di</strong><br />

Andrea, ad esempio La Simona, portano la firma «<strong>nel</strong> frontespizio dell’Esemplare<br />

Unico: A. S. CALCOGRAPHUS AQUA FORTI SIBI TIBI FECIT» (p. 94), il che in<br />

36 Rubins 2000, 62.<br />

37 È un calco dal Petit traité de Poesie française <strong>di</strong> Banville, p. 147, n. 1.<br />

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