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L'ecfrasis nel Piacere di Gabriele d'Annunzio - E-thesis

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interpretare la tendenza come una manifestazione della tensione fra i <strong>di</strong>versi concetti<br />

estetici, fra uno che considera la natura come modello, e l’altro secondo cui l’arte<br />

genera l’arte. Il paragone con l’artificiale suggerirebbe che è la natura che deve cedere<br />

(cfr. es. 10), quin<strong>di</strong> è un deviamento dal modello michettiano. D’altronde il raffronto<br />

tra momentaneo e durevole significa resistere anche al concetto della bellezza<br />

effimera caratteristico della decadenza (cfr. 1.2.1).<br />

Altrettanto presenti <strong>nel</strong> romanzo sono gli aspetti messi in rilievo dalla critica<br />

moderna (ma essi troviamo anche nei testi antichi). Il primo è la questione <strong>di</strong>namico<br />

vs statico. I passi analizzati <strong>di</strong>mostrano che per D’Annunzio l’ecfrasis è una<br />

<strong>di</strong>gressione <strong>di</strong>namica. Perfino nei tableaux tademeschi qualche elemento resiste alla<br />

stasi, benchè l’azione si arresti. L’impulso narrativo mette le immagini in movimento<br />

ad esempio nei <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Redgrave. Quin<strong>di</strong> l’ecfrasis non è una sosta <strong>nel</strong>la<br />

narrazione, ma il flusso del racconto continua e, con le parole <strong>di</strong> Scott (cfr. 2.4.1),<br />

offre una poetica alternativa <strong>di</strong> spazio e abbondanza. L’apertura spaziale si effettua<br />

con la trasformazione delle immagini bi<strong>di</strong>mensionali in tri<strong>di</strong>mensionali. Tuttavia il<br />

narratore non gira intorno agli oggetti figurativi, ed anche il protagonista sta in un<br />

punto fisso, per esempio <strong>nel</strong>la scena «nivale» (es. 6), in cui la scena invernale sembra<br />

un panottico.<br />

Il gioco è più complicato <strong>nel</strong> paesaggio michettiano (es. 13). Mentre <strong>nel</strong> avantesto<br />

giornalistico (es. 12) il percettore/l’autore sta davanti al quadro, <strong>nel</strong> romanzo il<br />

percettore implicito, Andrea, è <strong>di</strong>stanziato dalla vista marina, cioè non partecipa<br />

all’evento, ma percepisce una sezione <strong>di</strong> realtà. Nello stesso tempo è dentro il<br />

paesaggio e il lettore, con l’aiuto del mezzo verbale, lo «vede» guardare l’episo<strong>di</strong>o.<br />

Inoltre le vicende all’orizzonte non si svolgono dentro la realtà fittizia del romanzo,<br />

ma soltanto <strong>nel</strong>la mente del protagonista. L’enunciato «egli si vide perduto» in<strong>di</strong>ca<br />

autoriflessione, il lettore sbircia dentro l’anima <strong>di</strong> Andrea. Per il ricevente non c’è<br />

comunque <strong>di</strong>fferenza fra quello che il personaggio vede o pensa <strong>di</strong> vedere.<br />

Dei concetti <strong>di</strong> Mitchell paura, in<strong>di</strong>fferenza e fiducia ecfrastica – <strong>nel</strong> <strong>Piacere</strong> si<br />

realizza soprattutto l’ultimo. In effetti, tutto il romanzo sembra una manifestazione <strong>di</strong><br />

quella volontà. La tendenza a controllare le immagini è visibile ad esempio nei ritratti<br />

femminili. L’interpretazione dell’autore rende Nelly O’Brien e la Gioconda mute e<br />

corrotte, inoltre confonde la copia <strong>di</strong> Reynolds con il ritratto <strong>di</strong> Leighton, benché i loro<br />

mo<strong>di</strong> d’espressione siano molto <strong>di</strong>versi. Quin<strong>di</strong> l’autore toglie la forza espressiva<br />

dall’immagine e delinea i confini dentro cui si effettua l’interpretazione. Comunque la<br />

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