Rapporto Unicredit sulle piccole imprese le piccole imprese e il
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la propensione a vendere all’estero, crescono all’aumentare del<strong>le</strong> dimensioni aziendali. Sono,<br />
invece, penalizzati gli operatori che lavorano per conto terzi, dove è ragionevo<strong>le</strong> presumere che<br />
si addensino moltissime micro e molte <strong>picco<strong>le</strong></strong> <strong>imprese</strong>.<br />
Seconda indagine: <strong>le</strong> Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, <strong>le</strong> quali hanno reso<br />
evidente <strong>il</strong> rischio molto alto che, complice la crisi, corrono moltissime <strong>imprese</strong>21 . Dal<strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di<br />
Mario Draghi possiamo dedurre una suddivisione del<strong>le</strong> <strong>imprese</strong> (dell’industria e dei servizi) in tre<br />
categorie. Le prime due sono riconducib<strong>il</strong>i al<strong>le</strong> <strong>imprese</strong> con almeno 20 addetti, moltissime del<strong>le</strong><br />
quali sono già state coinvolte in un processo di ristrutturazione. La differenza fra loro risiede nel fatto<br />
che a un estremo vi sono <strong>le</strong> «aziende finanziariamente più solide», mentre all’altro estremo quel<strong>le</strong><br />
che, per crescere, «si erano indebitate» e ora affrontano <strong>il</strong> «prosciugarsi dei flussi di cassa, l’irrigidirsi<br />
dell’offerta di credito bancario, la forte difficoltà ad accedere al mercato dei capitali».<br />
«A risentire della crisi - prosegue <strong>il</strong> Governatore - sono soprattutto <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> <strong>picco<strong>le</strong></strong>, sotto i 20<br />
addetti», quel<strong>le</strong> che rappresentano la nostra terza categoria:<br />
«Nella sola manifattura se ne contano in tutto quasi 500.000, con poco meno di 2 m<strong>il</strong>ioni di occupati.<br />
Per quel<strong>le</strong> che operano in qualità di subfornitrici di <strong>imprese</strong> maggiori, da cui subiscono tagli degli<br />
ordinativi e d<strong>il</strong>azioni nei pagamenti, è a volte a rischio la stessa sopravvivenza» 22 .<br />
Terza indagine: un nuovo lavoro del Servizio studi della Banca d’Italia - L’euro e la ristrutturazione<br />
del<strong>le</strong> <strong>imprese</strong>23 - che, indagando sia sull’area dell’euro sia sul caso italiano, mostra evidenze molto<br />
significative.<br />
Partendo dalla constatazione che fra <strong>il</strong> 1998 e <strong>il</strong> 2005 la specializzazione produttiva dell’industria<br />
manifatturiera non è significativamente mutata né in Italia né nell’area dell’euro, Bugamelli, Schivardi<br />
e Zizza dimostrano che una profonda riorganizzazione ha avuto luogo all’interno dei singoli settori.<br />
Qui, ciò che emerge restringendo l’analisi al caso italiano (e ciò mediante interviste approfondite<br />
con imprenditori nonché l’ut<strong>il</strong>izzo della banca dati INVIND24 ), è <strong>il</strong> ruolo del<strong>le</strong> singo<strong>le</strong> <strong>imprese</strong>, i loro<br />
comportamenti strategici:<br />
«(…)Da quando l’euro è stato adottato, <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> hanno spostato <strong>il</strong> focus della loro attività dall’attività<br />
di produzione ad attività upstream e downstream, come R&S, design, marketing e distribuzione (…)<br />
Lo spostamento è più drastico nel<strong>le</strong> attività tradizionali a bassa tecnologia (…) E c’è un marcato<br />
declino nella quota di operai (i ‘col<strong>le</strong>tti blu’), in linea con la tesi che <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> stanno spostando <strong>il</strong><br />
loro focus via dalla produzione. Più basso è <strong>il</strong> contenuto tecnologico del settore, più marcato è <strong>il</strong><br />
declino. Nell’era pre-euro, in modo interessante, era vero <strong>il</strong> contrario: <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> a bassa tecnologia<br />
ut<strong>il</strong>izzavano la svalutazione per recuperare competitività di prezzo e intensificavano la loro dipendenza<br />
su lavoratori low-sk<strong>il</strong><strong>le</strong>d. Non abbiamo trovato l’evidenza che i flussi di occupazione (job flows) si siano<br />
intensificati dopo l’introduzione dell’euro; <strong>il</strong> processo di ristrutturazione sembra aver comportato una<br />
riallocazione di lavoratori più all’interno del<strong>le</strong> <strong>imprese</strong> piuttosto che fra <strong>le</strong> stesse» 25 .<br />
21 Cfr. Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore, Assemb<strong>le</strong>a annua<strong>le</strong> ordinaria dei partecipanti, Roma, 29 maggio 2009.<br />
22 Ibidem.<br />
23 Cfr. Bugamelli M., Schivardi F., Zizza R., The euro and firm restructuring, Banca d’Italia, “Tema di discussione” n. 716, Roma, giugno<br />
2009; <strong>il</strong> lavoro è altresì in corso di pubblicazione in: A<strong>le</strong>sina A., Giavazzi F. (a cura di), «Europe and the Euro», University of Chicago<br />
Press, 2009.<br />
24 Va ricordato che la banca dati INVIND (Banca d’Italia) consiste di un campione rappresentativo di <strong>imprese</strong> italiane con più di 50<br />
addetti; pertanto, i suoi risultati riguardano - per definizione - <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> italiane di dimensione media e grande.<br />
25 Ibidem. Si noti che l’esistenza di quello che viene chiamato «un margine di aggiustamento interno al<strong>le</strong> <strong>imprese</strong> (rimescolamento del<strong>le</strong><br />
linee produttive e aumento del<strong>le</strong> attività terziarie a monte e a val<strong>le</strong> di quella manifatturiera vera e propria)» è <strong>il</strong>lustrata anche dall’ISAE<br />
nel suo rapporto, Previsioni per l’economia italiana, del febbraio 2009, già citato. Questo margine di aggiustamento interno - scrive<br />
l’ISAE - è «più ri<strong>le</strong>vante di quello che caratterizza i movimenti “tra” <strong>le</strong> <strong>imprese</strong>. La verifica empirica mostra effettivamente che si è<br />
realizzata nel periodo esaminato una significativa ricomposizione della forza lavoro del<strong>le</strong> aziende analizzate, nella direzione di un<br />
ridimensionamento del peso degli addetti alla produzione, ovverosia i c.d. bluecollar (…) In questo quadro, un comportamento<br />
specifico ha contrassegnato <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> esportatrici. Questa tipologia di produttori, già caratterizzati strutturalmente per una quota di<br />
lavoratori dedicati alla produzione comparativamente minore, ha anche visto nei primi anni duem<strong>il</strong>a una contrazione più marcata di<br />
ta<strong>le</strong> quota rispetto a quanto verificato per <strong>le</strong> <strong>imprese</strong> che vendono nel mercato domestico».<br />
Capitolo 6 I 183