Torino è la mia città 2008-2009: Figomania - Ferrarotti, Maurizio

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Difesa americana DARPA. L’olomero è creato tramite la scansione totale del corpo di un individuo, ottenuta tramite risonanza magnetica (MPI) e/o tomografia computerizzata (BCT). Il suo risultato viene poi visualizzato sullo schermo di un PC come immagine tridimensionale dell’intera persona umana. Ulteriori dati di natura genetica, biochimica, fisiologica, oltre ai segni della vita di per sé, vengono aggiunti ai vari organi e tessuti come delle proprietà intrinseche, trasformando l’olomero in una rappresentazione vivente della persona basata su dati reali. Ogni paziente dovrebbe possedere il proprio olomero virtuale; sarebbe davvero il surrogato di se stesso nel mondo dell’informazione digitale. Ogni donna ha il proprio omomero: vale a dire, la rappresentazione virtuale della sua idea di uomo, in parole commestibili, l’uomo ideale. E se, poco dopo il fischio d’inizio di una partita sentimentale ma anche a metà del secondo tempo, le nostre flessuose costolette s’accorgono che il partner non corrisponde a quell’ologramma neurale d’emozioni e desideri progressivamente formatosi nelle loro graziosissime testoline dal giorno del primo ciclo mestruale in avanti – che non vi corrisponda del tutto o in parte quantunque minima è ininfluente, non corrisponde e basta –, due sono i casi: o lo rimpiazzano con uno ancor più imperfetto (in ogni modo la perfezione assoluta mascolina non può esistere su questo pianeta, per il principio di indeterminazione di Heisenberg e il testosterone) o/e consumano tutta la loro esistenza a cercare di rimodellarlo, finendo invariabilmente per tagliargli i testicoli e magari fargli una foresta pluviale di corna col primo lattoniere pugliese coi tatuaggi alla Fabrizio Corona che passa per il condominio. In verità esse sono intagliatrici d’uomini – io direi più minatrici – per default. Pressoché impossibile variarne i parametri. Per molte, moltissime figlie d’Eva il concetto di omomero si estende finanche alle mere relazioni amichevoli: il pagafantomero. Ma che succede se l’olomero-amico-tonno si ribella all’estroschema e fugge dal gabinetto di scansione? Ciò che è successo mercoledì sera scorso tra me e la Personcina a un concerto alla memoria di Caterina Farassino e Piero Maccarino, l’ispiratore di questo blog. Naturalmente, dico così perché le vie del masochismo maschile sono infinite, indovina indovinello chi c’era in cartellone: quel gruppo il cui cantante ha rapito il cuore della suddetta. Il mio rivale in amore, per chiamarlo in qualche accidenti di maniera da soap-opera bavarese. Una volta giunto al locale e trovatala è stato subito chiaro che costei si aspettasse un Maurizio formattato. “Dimenticati di quella sera” mi ha detto, già bevuta. Si riferiva alla sera in cui mi dichiarai, è ovvio. “Forse per te è facile: per me, affatto”, ho controbattuto distogliendo lo sguardo. Resettato dalle vacanze, sì: formattato, proprio no. Re-Make Re-Model. Comunque ci siamo scolati un altro paio di bionde e giusto all’ultimo sorso della seconda un ululato di riconoscenza da parte del folto pubblico ha accolto… e che cacchio ne sapevo io chi era salito sul palco. Ero entrato a concerto ampiamente iniziato e fino ad allora m’ero totalmente disinteressato a chi suonasse e quando; in più alcune volte l’ordine stampato sui flyer non rispecchia poi l’effettiva alternanza dei gruppi sulla scena. Al disopra di tutto, nonostante la mia notevole esperienza di vita, rimango un candido, più che mai con qualche birra o cubata de ron con coca-cola in corpo. La Personcina mi ha afferrato la mano trascinandomi via dal bar: “Dài, Mauri, andiamo a scatenarci!” Ma dopo pochi metri e svariate sportellate e pestoni dati mi sono reso conto che sul palco era salito proprio LUI, e che io mi stavo facendo condurre dritto sparato verso un degradante attacco di gelosia… per un pischello cui do una spanna e mezza e una quindicina di tacche sulla stecca dell’esistenza, nientemeno! 76
Cosicché mi sono sganciato da lei come l’ultimo stadio di un razzo vettore da una navetta spaziale e ho riparato all’altro bar, lasciandola da sola a pogare in prima fila davanti al suo fottuto feticcio. Mi sono scolato velocemente un’altra Heineken con un amico e poi a casa, ascoltando i Darling Buds a tutto volume con quel sorrisetto alla Charlie Crews che da quando sono tornato dai Picos de Europa mi sta spuntando sempre più di frequente sul faccione. Pensando: «Mi spiace tantissimo, bambina, ma io non sono l’omomero di nessuno.» “Di’, Mauri, ma non è che per caso questa Personcina è la tua performance artistica?” “…” “Muxu bat”. Fotografia di Lorena Olarte, 2009. 77
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