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esaminato con attenzione, e non avrebbero soltanto<br />
osservato se funzionava o meno, ma avrebbero anche<br />
giudicato la relativa eleganza e la solidità<br />
dell'architettura. La disposizione dei circuiti sulla scheda<br />
era una finestra aperta sulla personalità del progettista<br />
e perfino dei dettagli superficiali come la fattura dei<br />
connettori attraverso cui si montava la scheda avrebbe<br />
messo in luce le motivazioni, la filosofia e la dedizione<br />
al prodotto. Gli schemi digitali, come i programmi, "sono<br />
le migliori immagini della mente che si possano<br />
trovare", dice Felsenstein. "Posso dirti cose di certe<br />
persone dal progetto dell'hardware che vedo. Se guardi<br />
bene qualcosa puoi arrivare a dire: 'Cristo, questo tizio<br />
progetta come un verme. Va da un punto sino alla fine<br />
senza sapere cosa ha fatto nel mezzo'."<br />
Bob Marsh voleva che la Processor technology fosse<br />
conosciuta per la qualità dei suoi prodotti e passò i mesi<br />
successivi in un costante logorio, cercando non solo di<br />
finire i suoi progetti, ma di realizzarli con cura. Ciò era<br />
importante per l'azienda come pure per la stima di se<br />
stesso.<br />
Il procedimento non era dei più semplici. Dopo aver<br />
deciso la funzionalità della scheda, si passavano<br />
lunghe notti a progettarla. Consultando il manuale che<br />
descriveva il funzionamento del chip 8080 si<br />
annotavano i numeri delle varie sezioni desiderate,<br />
progettando questa sezione per l'input, quella per la<br />
memoria, e la griglia labirintica che stava dentro a quel<br />
pezzo di plastica nera cominciava a prendere forma<br />
nella mente. L'efficacia della scelta sulle sezioni a cui<br />
dedicarsi dipendeva da quanto bene e accuratamente<br />
veniva conservata quella visione. Si faceva uno schizzo<br />
a matita di quelle connessioni, ciò che era destinato a<br />
stare su una parte della scheda in blu, e quello sull'altra<br />
faccia, in rosso. Quindi si prendevano i fogli di Mylar,<br />
stendendoli su un tavolo luminoso con una griglia, e si<br />
cominciavano a tracciare i profili delle connessioni con<br />
del nastro di carta. Si poteva poi scoprire che gli schemi<br />
avevano qualcosa che non andava - troppa confusione<br />
da una parte o interconnessioni troppo vicine - ed era<br />
necessario correggere qualcosa. Un errore poteva far<br />
saltare tutto. Ci si doveva perciò assicurare di fare un<br />
altro schema da sovrapporre: collocandolo sopra il<br />
progetto con i nastri di carta si poteva vedere se si era<br />
commesso un grave errore, come connettere tre cose<br />
insieme. Se lo schema era sbagliato, lo si accantonava.<br />
Si doveva creare il progetto in modo che la scheda<br />
avesse molti strati: ciò creava un differente insieme di<br />
connessioni sulla superficie e sul fondo.<br />
Il progetto, durante il lavoro, doveva essere spostato<br />
su e giù, e talvolta il nastro si staccava, oppure c'erano<br />
dei piccoli pezzi di nastro penzolanti, oppure ancora un<br />
capello s'era incollato da qualche parte: uno qualsiasi<br />
di questi fenomeni indesiderati sarebbe stato<br />
fedelmente riprodotto dall'eliocopia (se non si avevano<br />
abbastanza soldi, ci si doveva accontentare di<br />
un'accurata fotocopia) per poi finire in un disastroso<br />
corto circuito. Si doveva infine contrassegnare il<br />
progetto per l'azienda produttrice della scheda,<br />
indicando dove perforare, dove fosse necessaria la<br />
placcatura in oro e così via.<br />
Alla fine, si doveva andare alla fabbrica di schede più<br />
vicina con gli schemi in mano e gliele si consegnavano.<br />
Dato che c'era la crisi, le ditte erano contente di aver<br />
ottenuto un lavoro, perfino se commissionato da un<br />
trasandato hacker dell'hardware con gli occhi da<br />
sballato. Mettevano quella roba su un digitizer,<br />
perforavano i buchi e, alla fine, ottenevano una base<br />
verdastra di epoxy con sopra un groviglio<br />
d'interconnessioni argentee.<br />
Questo era il metodo di lusso. Bob Marsh infatti<br />
all'inizio non si poteva permettere di lavorare in quel<br />
modo: incideva a mano la scheda sul fornello di cucina,<br />
usando limatura da circuiti stampati, tracciando linee<br />
appena visibili, in cui il materiale si liquefava. Quel<br />
metodo era un contorto corteggiamento della dea<br />
Catastrofe, ma Marsh era un lavoratore indefesso e<br />
oculato. Spiega più tardi: "Ero veramente preso da quel<br />
lavoro. Divenni un tutt'uno con il mio progetto di<br />
scheda".<br />
Per la prima scheda di memoria, Marsh fu messo<br />
sotto pressione in modo particolare. Ogni benedetta<br />
settimana ai meeting dell'Homebrew o tutti i giorni al<br />
telefono, i clienti furibondi reclamavano affannosamente<br />
la propria scheda di memoria come fossero palombari<br />
che boccheggiassero per carenza d'aria. Marsh così<br />
ricorda i loro lamenti: "Quand'è pronta la mia scheda?<br />
Ne ho bisogno. Devo averla assolutamente".<br />
Finalmente Marsh la finì. Non c'era tempo per farne<br />
un prototipo. Aveva la sua scheda, che era un<br />
rettangolo in epoxy verde con una piccola protuberanza<br />
di connettori dorati incisi sotto, delle dimensioni giuste<br />
per essere inserita nello slot del bus Altair. Aveva i chip<br />
e i cavi che i costruttori del kit vi avrebbero saldato<br />
sopra (in un primo tempo la Processor tech avrebbe<br />
venduto solo schede da assemblare). Marsh aveva già<br />
tutto pronto, ma non aveva l'Altair su cui fare il test.<br />
Quindi, incurante del fatto che fossero le tre di notte,<br />
chiamò il buon Dompier che aveva conosciuto<br />
all'Homebrew e gli disse di portargli lì la macchina.<br />
L'Altair aveva per Dompier la stessa importanza di un<br />
figlio, se non fosse stato scapolo, e così lo avvolse con<br />
tutte le attenzioni in una coperta rossa e lo portò via in<br />
braccio. Dompier nel-l'assemblare la macchina aveva<br />
seguito il manuale, indossando perfino un braccialetto<br />
di rame al polso quando saldava (per scaricare<br />
l'elettricità statica) e stando attento a non toccare il<br />
fragile cuore 8080 della macchina. Naturalmente si<br />
prese un colpo quando, dopo aver amorevolmente<br />
posato la macchina nel laboratorio di Marsh, i due<br />
veterani dell'hardware, Marsh e Ingram, cominciarono a<br />
smanettare sui chip come un paio di meccanici che<br />
stessero installando una marmitta: li afferravano con le<br />
loro dita sudice, li estraevano, poi li riponevano, infine li<br />
mettevano di nuovo dentro. Dompier osservava<br />
terrorizzato. Alla fine la scheda fu pronta, e Ingram girò<br />
l'interruttore e fu allora che il prezioso computer di<br />
Steve Dompier cadde in uno stato comatoso: avevano<br />
inserito la scheda alla rovescia.<br />
Ci volle un giorno per aggiustare l'Altair, ma Steve<br />
Dompier non si arrabbiò: anzi avrebbe prestato la sua<br />
macchina alla Processor technology per altri test di<br />
prova. Ciò era indicativo del comportamento dei membri<br />
dell'Homebrew. Erano questi una razza diversa di<br />
hacker dagli inawicinabili maghi del MIT, ma erano<br />
<strong>Capitolo</strong> <strong>1°</strong> - <strong>Storia</strong><br />
anche rispettosi dell'etica hacker che subordinava la<br />
proprietà e l'individualismo al bene comune, il che, in<br />
pratica, voleva dire che avrebbero aiutato la gente a<br />
fare hacke-raggio nel modo più efficace. Steve Dompier<br />
era nervoso a proposito del suo Altair, ma non<br />
desiderava altro al mondo che una scheda di memoria,<br />
per poter caricare qualche vero programma. E poi<br />
voleva dispositivi di i/o e dispositivi per la<br />
visualizzazione... per poter scrivere utility e rendere più<br />
potente la macchina. Erano strumenti per fare<br />
strumenti, per penetrare in profondità nel mondo che<br />
ruotava attorno al misterioso microprocessore 8080.<br />
Bob Marsh e gli altri dell'Homebrew, sia che stessero<br />
creando prodotti per gli altri, sia che semplicemente<br />
fossero hacker curiosi come lui, in ogni caso<br />
procedevano uniti, e insieme formarono una comunità<br />
anche se questa non era centrata geograficamente<br />
come quella del MIT intorno al Pdp-6. L'Homebrew<br />
nonostante si estendesse da Sacramento a San José,<br />
si teneva saldamente unita.<br />
Quando, ai primi di giugno, Bob Marsh si fece vedere<br />
a un incontro dell’Homebrew con il primo carico di<br />
schede, la gente che le aveva ordinate fu così grata che<br />
si poteva credere che gliele stesse regalando.<br />
Consegnava i piccoli pacchetti di plastica contenenti le<br />
schede e i circuiti integrati, insieme al manuale di<br />
istruzioni scritto da Lee Felsenstein. "Se non sei un<br />
esperto costruttore," avvisava Lee, "non metterti a<br />
costruire questi kit".<br />
C'era veramente poca esperienza al mondo per<br />
costruire quel genere di roba, ma gran parte<br />
dell'esperienza era concentrata in quella sala, che era<br />
ora l'auditorium dello Stanford linear accelerator (Slac).<br />
Erano passati solo quattro mesi dopo il primo fortuito<br />
incontro del club e i suoi membri erano diventati già<br />
quasi dieci volte tanto.<br />
Il piccolo club formato da Fred Moore e Gordon<br />
French era diventato qualcosa che nessuno dei due<br />
avrebbe mai potuto immaginare. Era l'avanguardia di<br />
una razza di hacker dell'hardware che si stavano<br />
"bootstrappando" dentro una nuova industria che, ne<br />
erano sicuri, sarebbe stata diversa da ogni industria<br />
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