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Capitolo 1° - Storia - FedOA

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esaminato con attenzione, e non avrebbero soltanto<br />

osservato se funzionava o meno, ma avrebbero anche<br />

giudicato la relativa eleganza e la solidità<br />

dell'architettura. La disposizione dei circuiti sulla scheda<br />

era una finestra aperta sulla personalità del progettista<br />

e perfino dei dettagli superficiali come la fattura dei<br />

connettori attraverso cui si montava la scheda avrebbe<br />

messo in luce le motivazioni, la filosofia e la dedizione<br />

al prodotto. Gli schemi digitali, come i programmi, "sono<br />

le migliori immagini della mente che si possano<br />

trovare", dice Felsenstein. "Posso dirti cose di certe<br />

persone dal progetto dell'hardware che vedo. Se guardi<br />

bene qualcosa puoi arrivare a dire: 'Cristo, questo tizio<br />

progetta come un verme. Va da un punto sino alla fine<br />

senza sapere cosa ha fatto nel mezzo'."<br />

Bob Marsh voleva che la Processor technology fosse<br />

conosciuta per la qualità dei suoi prodotti e passò i mesi<br />

successivi in un costante logorio, cercando non solo di<br />

finire i suoi progetti, ma di realizzarli con cura. Ciò era<br />

importante per l'azienda come pure per la stima di se<br />

stesso.<br />

Il procedimento non era dei più semplici. Dopo aver<br />

deciso la funzionalità della scheda, si passavano<br />

lunghe notti a progettarla. Consultando il manuale che<br />

descriveva il funzionamento del chip 8080 si<br />

annotavano i numeri delle varie sezioni desiderate,<br />

progettando questa sezione per l'input, quella per la<br />

memoria, e la griglia labirintica che stava dentro a quel<br />

pezzo di plastica nera cominciava a prendere forma<br />

nella mente. L'efficacia della scelta sulle sezioni a cui<br />

dedicarsi dipendeva da quanto bene e accuratamente<br />

veniva conservata quella visione. Si faceva uno schizzo<br />

a matita di quelle connessioni, ciò che era destinato a<br />

stare su una parte della scheda in blu, e quello sull'altra<br />

faccia, in rosso. Quindi si prendevano i fogli di Mylar,<br />

stendendoli su un tavolo luminoso con una griglia, e si<br />

cominciavano a tracciare i profili delle connessioni con<br />

del nastro di carta. Si poteva poi scoprire che gli schemi<br />

avevano qualcosa che non andava - troppa confusione<br />

da una parte o interconnessioni troppo vicine - ed era<br />

necessario correggere qualcosa. Un errore poteva far<br />

saltare tutto. Ci si doveva perciò assicurare di fare un<br />

altro schema da sovrapporre: collocandolo sopra il<br />

progetto con i nastri di carta si poteva vedere se si era<br />

commesso un grave errore, come connettere tre cose<br />

insieme. Se lo schema era sbagliato, lo si accantonava.<br />

Si doveva creare il progetto in modo che la scheda<br />

avesse molti strati: ciò creava un differente insieme di<br />

connessioni sulla superficie e sul fondo.<br />

Il progetto, durante il lavoro, doveva essere spostato<br />

su e giù, e talvolta il nastro si staccava, oppure c'erano<br />

dei piccoli pezzi di nastro penzolanti, oppure ancora un<br />

capello s'era incollato da qualche parte: uno qualsiasi<br />

di questi fenomeni indesiderati sarebbe stato<br />

fedelmente riprodotto dall'eliocopia (se non si avevano<br />

abbastanza soldi, ci si doveva accontentare di<br />

un'accurata fotocopia) per poi finire in un disastroso<br />

corto circuito. Si doveva infine contrassegnare il<br />

progetto per l'azienda produttrice della scheda,<br />

indicando dove perforare, dove fosse necessaria la<br />

placcatura in oro e così via.<br />

Alla fine, si doveva andare alla fabbrica di schede più<br />

vicina con gli schemi in mano e gliele si consegnavano.<br />

Dato che c'era la crisi, le ditte erano contente di aver<br />

ottenuto un lavoro, perfino se commissionato da un<br />

trasandato hacker dell'hardware con gli occhi da<br />

sballato. Mettevano quella roba su un digitizer,<br />

perforavano i buchi e, alla fine, ottenevano una base<br />

verdastra di epoxy con sopra un groviglio<br />

d'interconnessioni argentee.<br />

Questo era il metodo di lusso. Bob Marsh infatti<br />

all'inizio non si poteva permettere di lavorare in quel<br />

modo: incideva a mano la scheda sul fornello di cucina,<br />

usando limatura da circuiti stampati, tracciando linee<br />

appena visibili, in cui il materiale si liquefava. Quel<br />

metodo era un contorto corteggiamento della dea<br />

Catastrofe, ma Marsh era un lavoratore indefesso e<br />

oculato. Spiega più tardi: "Ero veramente preso da quel<br />

lavoro. Divenni un tutt'uno con il mio progetto di<br />

scheda".<br />

Per la prima scheda di memoria, Marsh fu messo<br />

sotto pressione in modo particolare. Ogni benedetta<br />

settimana ai meeting dell'Homebrew o tutti i giorni al<br />

telefono, i clienti furibondi reclamavano affannosamente<br />

la propria scheda di memoria come fossero palombari<br />

che boccheggiassero per carenza d'aria. Marsh così<br />

ricorda i loro lamenti: "Quand'è pronta la mia scheda?<br />

Ne ho bisogno. Devo averla assolutamente".<br />

Finalmente Marsh la finì. Non c'era tempo per farne<br />

un prototipo. Aveva la sua scheda, che era un<br />

rettangolo in epoxy verde con una piccola protuberanza<br />

di connettori dorati incisi sotto, delle dimensioni giuste<br />

per essere inserita nello slot del bus Altair. Aveva i chip<br />

e i cavi che i costruttori del kit vi avrebbero saldato<br />

sopra (in un primo tempo la Processor tech avrebbe<br />

venduto solo schede da assemblare). Marsh aveva già<br />

tutto pronto, ma non aveva l'Altair su cui fare il test.<br />

Quindi, incurante del fatto che fossero le tre di notte,<br />

chiamò il buon Dompier che aveva conosciuto<br />

all'Homebrew e gli disse di portargli lì la macchina.<br />

L'Altair aveva per Dompier la stessa importanza di un<br />

figlio, se non fosse stato scapolo, e così lo avvolse con<br />

tutte le attenzioni in una coperta rossa e lo portò via in<br />

braccio. Dompier nel-l'assemblare la macchina aveva<br />

seguito il manuale, indossando perfino un braccialetto<br />

di rame al polso quando saldava (per scaricare<br />

l'elettricità statica) e stando attento a non toccare il<br />

fragile cuore 8080 della macchina. Naturalmente si<br />

prese un colpo quando, dopo aver amorevolmente<br />

posato la macchina nel laboratorio di Marsh, i due<br />

veterani dell'hardware, Marsh e Ingram, cominciarono a<br />

smanettare sui chip come un paio di meccanici che<br />

stessero installando una marmitta: li afferravano con le<br />

loro dita sudice, li estraevano, poi li riponevano, infine li<br />

mettevano di nuovo dentro. Dompier osservava<br />

terrorizzato. Alla fine la scheda fu pronta, e Ingram girò<br />

l'interruttore e fu allora che il prezioso computer di<br />

Steve Dompier cadde in uno stato comatoso: avevano<br />

inserito la scheda alla rovescia.<br />

Ci volle un giorno per aggiustare l'Altair, ma Steve<br />

Dompier non si arrabbiò: anzi avrebbe prestato la sua<br />

macchina alla Processor technology per altri test di<br />

prova. Ciò era indicativo del comportamento dei membri<br />

dell'Homebrew. Erano questi una razza diversa di<br />

hacker dagli inawicinabili maghi del MIT, ma erano<br />

<strong>Capitolo</strong> <strong>1°</strong> - <strong>Storia</strong><br />

anche rispettosi dell'etica hacker che subordinava la<br />

proprietà e l'individualismo al bene comune, il che, in<br />

pratica, voleva dire che avrebbero aiutato la gente a<br />

fare hacke-raggio nel modo più efficace. Steve Dompier<br />

era nervoso a proposito del suo Altair, ma non<br />

desiderava altro al mondo che una scheda di memoria,<br />

per poter caricare qualche vero programma. E poi<br />

voleva dispositivi di i/o e dispositivi per la<br />

visualizzazione... per poter scrivere utility e rendere più<br />

potente la macchina. Erano strumenti per fare<br />

strumenti, per penetrare in profondità nel mondo che<br />

ruotava attorno al misterioso microprocessore 8080.<br />

Bob Marsh e gli altri dell'Homebrew, sia che stessero<br />

creando prodotti per gli altri, sia che semplicemente<br />

fossero hacker curiosi come lui, in ogni caso<br />

procedevano uniti, e insieme formarono una comunità<br />

anche se questa non era centrata geograficamente<br />

come quella del MIT intorno al Pdp-6. L'Homebrew<br />

nonostante si estendesse da Sacramento a San José,<br />

si teneva saldamente unita.<br />

Quando, ai primi di giugno, Bob Marsh si fece vedere<br />

a un incontro dell’Homebrew con il primo carico di<br />

schede, la gente che le aveva ordinate fu così grata che<br />

si poteva credere che gliele stesse regalando.<br />

Consegnava i piccoli pacchetti di plastica contenenti le<br />

schede e i circuiti integrati, insieme al manuale di<br />

istruzioni scritto da Lee Felsenstein. "Se non sei un<br />

esperto costruttore," avvisava Lee, "non metterti a<br />

costruire questi kit".<br />

C'era veramente poca esperienza al mondo per<br />

costruire quel genere di roba, ma gran parte<br />

dell'esperienza era concentrata in quella sala, che era<br />

ora l'auditorium dello Stanford linear accelerator (Slac).<br />

Erano passati solo quattro mesi dopo il primo fortuito<br />

incontro del club e i suoi membri erano diventati già<br />

quasi dieci volte tanto.<br />

Il piccolo club formato da Fred Moore e Gordon<br />

French era diventato qualcosa che nessuno dei due<br />

avrebbe mai potuto immaginare. Era l'avanguardia di<br />

una razza di hacker dell'hardware che si stavano<br />

"bootstrappando" dentro una nuova industria che, ne<br />

erano sicuri, sarebbe stata diversa da ogni industria<br />

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