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emergenza urbana. Basti pensare ai dati di UN Habitat per il quali entro il 2030 un abitante<br />
su tre nel mondo vivrà in una baraccopoli e al progressivo emergere di casi di inequità<br />
sociale. L’architetto sembra perdere progressivamente importanza, schiacciato tra lo star<br />
system delle architetture-spettacolo e le richieste sempre più imperiose di un capitalismo<br />
globale che disegna la crescita urbana esclusivamente in base a calcoli economici. È in questo<br />
clima che la sperimentazione perde interesse per la definizione di forme sempre più<br />
sofisticate e si confronta apertamente con l’osservazione dello stato attuale delle nostre realtà<br />
urbane”.<br />
L'architettura radicale e la critica<br />
Carlotta Darò, ARCH'IT<br />
È Germano Celant, all'inizio degli anni '70, a<br />
introdurre in Italia il fortunato termine di "architettura<br />
radicale". I protagonisti di quello che a posteriori<br />
diventerà un vero e proprio movimento sono alcuni<br />
studenti della Facoltà di Architettura di Firenze, in<br />
particolare del corso di Leonardo Savioli dedicato ai<br />
"Pipers". Nel novembre del 1966 i giovani architetti<br />
fiorentini organizzano la prima mostra di<br />
"Superarchitettura" in una piccola cantina della città di<br />
Pistoia.<br />
Tra la prima e la seconda mostra di<br />
"Superarchitettura" si formano i due rinomati gruppi,<br />
Archizoom e Superstudio. Le riviste Domus, Casabella<br />
e in seguito In svolgono il ruolo di portavoce della<br />
neoavanguardia, mentre altri sporadici articoli escono<br />
su diverse pubblicazioni come Marcatré, Controspazio,<br />
Interni, Modo, Progettare in più, Abitare, Pianeta<br />
Fresco, Flash art, Nac e su riviste non di settore e di<br />
larga diffusione come Panorama e l'Espresso.<br />
A parlare di questo nuovo e prezioso fenomeno che<br />
tenta una fuga disperata dall'accademismo imperante,<br />
sono gli stessi architetti o alcuni importanti critici del<br />
mondo dell'arte. Grazie al metodico lavoro teorico di<br />
Andrea Branzi, quello editoriale di Alessandro Mendini,<br />
Franco Raggi e altri, possediamo oggi una chiara e<br />
appassionante lettura dei protagonisti di questo<br />
singolare fenomeno. D'altro canto, all'esterno del loro<br />
stesso circuito, Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles e il già<br />
citato Germano Celant contribuiscono ad un<br />
riconoscimento esplicito a livello concettuale del<br />
movimento radicale. Nel campo della critica<br />
architettonica, l'esempio di seguito riportato mette in<br />
chiaro il valore conferito a questo movimento da due<br />
critici come Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co: "La<br />
liberazione nell'ironia ripercorre le utopie delle<br />
avanguardie storiche: i progetti di deserti occupati da<br />
superoggetti metafisici –come esercitazioni<br />
autopropagandistiche dei gruppi italiani Archizoom e<br />
Superstudio– consumano fino alla nausea gli aneliti<br />
tardoromantici della tautiana Aufloesung der staedte". Il<br />
livello di apprezzamento dalla parte della critica italiana<br />
è di questa portata nei casi in cui, fortuna vuole, il<br />
movimento radicale viene per lo meno preso in<br />
considerazione.<br />
Questo movimento non è, all'epoca, studiato e<br />
valutato in una prospettiva internazionale più ampia. Il<br />
fenomeno radicale italiano assume il suo vero valore,<br />
infatti, nell'ambito di una più complessa storia di<br />
ribellione disciplinare che avviene in contemporanea in<br />
diverse parti del mondo. Forse a causa dei suoi<br />
contenuti politici e ideologici, o forse a causa della sua<br />
pericolosa posizione antiaccademica, i radicali italiani<br />
non riescono, in casa, ad abbattere i pregiudizi di una<br />
critica ostile. In una ricostruzione prospettica fatta per<br />
ipotesi ci sarebbe da chiedersi come sarebbe andato il<br />
seguito di questa vicenda se qualche critico<br />
contemporaneo di prestigio avesse posto, allora,<br />
l'attenzione sul fenomeno. Chissà se oggi il ritorno<br />
all'ordine, ovvero all'accademia, dei radicali italiani<br />
avrebbe avuto un'evoluzione diversa o più coerente?<br />
Che la gloria dovrà giungere dall'estero si intuisce già<br />
nel 1972, quando il MoMA di New York chiama<br />
numerosi radicali ad esporre alla mostra di<br />
controdesign Italy: the New domestic Landscape. Nel<br />
1974 e 1977, escono in Italia due importanti<br />
pubblicazioni che rimettono ordine alla successione<br />
degli eventi del movimento ormai finito. La prima è la<br />
pubblicazione della tesi di Bruno Orlandoni e Paola<br />
Navone (con l'introduzione di Andrea Branzi)<br />
Architettura radicale e la seconda è Dalla città al<br />
cucchiaio, ancora di Bruno Orlandoni con Giorgio<br />
Vallino.<br />
Il tempo passa e i vari protagonisti radicali<br />
intraprendono strade diverse che li portano a superare<br />
le loro posizioni nichiliste e ad affrontare le scelte o i<br />
compromessi della realtà professionale. All'inizio degli<br />
anni '90 si apre, in Francia, un nuovo orizzonte di<br />
ricerca storica e critica riguardante gli albori dei giovani<br />
studenti fiorentini. Dominique Rouillard intraprende un<br />
lavoro di ricostruzione e, finalmente, d'inquadramento<br />
storico dell'avanguardia italiana. Mettendo in evidenza<br />
l'influenza di Superstudio e Archizoom, rispettivamente<br />
sul lavoro dei giovani Rem Koolhaas e Bernarnd<br />
Tschumi, Rouillard introduce in Francia un dibattito<br />
critico, fino ad allora assente nella patria italiana, che<br />
mette in luce il vero valore concettuale e progettuale, e<br />
non ideologico, dei radicali italiani.<br />
Questa operazione permette di ricostruire il fermento<br />
internazionale dell'epoca e le influenze reciproche in<br />
un'ottica che esce dal piccolo e combattuto contesto<br />
italiano. Inizia qui la consacrazione del valore storico<br />
dei radicali italiani con il recupero da parte del Centro<br />
Georges Pompidou, nella persona del conservatore<br />
Alain Guiheux, di numerose opere salvate dalle cantine<br />
polverose degli architetti. Il lavoro dei radicali italiani<br />
diventa progressivamente oggetto di mostre e<br />
<strong>Capitolo</strong> 4° - Scenari diversi<br />
manifestazioni di varia natura fatte in territorio francese,<br />
tra le quali va citata l'attività del FRAC Centre di<br />
Orléans iniziata dall'allora direttore Frédéric Migayrou.<br />
Alla Biennale di Venezia del 1996, diretta da Hans<br />
Hollein, si assiste finalmente, in Italia, ad una<br />
retrospettiva internazionale sul fenomeno radicale<br />
operata da Gianni Pettena per il padiglione italiano.<br />
Segue, nel 1999, curata anch'essa da Pettena, la<br />
mostra al Palazzo Fabroni di Pistoia Archipelago.<br />
Architettura sperimentale 1959-99, che tende a voler<br />
attualizzare il movimento radicale avvicinandolo ad<br />
alcuni esempi di architettura contemporanea<br />
formalmente audaci o sperimentali. Luigi Prestinenza<br />
Puglisi dichiarerà, nel libro This is tomorrow che<br />
l'architettura radicale ha vinto e che la prova di tale<br />
vittoria risiede in un'opera come il Guggenheim di<br />
Bilbao di Gehry che stravolge i canoni tradizionali della<br />
progettazione. Ma il valore dell'architettura radicale è un<br />
valore negativo le cui tracce non si possono ritrovare in<br />
una "maniera" costruttiva. Gli architetti radicali si sono<br />
battuti, e forse sacrificati, in nome di una rivolta che<br />
mirava alla ridefinizione della disciplina intera e di<br />
un'ingenua battaglia contro il potere accademico.<br />
Purtroppo l'architettura radicale ha perso perché, al di<br />
là di alcune tracce significative nell'evoluzione storica di<br />
questa singolare avanguardia, non è riuscita a<br />
raggiungere l'utopica volontà di rottura e di<br />
rigenerazione della disciplina. Colpa del vuoto critico<br />
che ha accompagnato all'epoca questo movimento, o<br />
colpa piuttosto di una posizione che si poneva sin dal<br />
principio come eroicamente perdente, l'architettura<br />
radicale oggi lascia un importante patrimonio storico,<br />
giustamente messo in valore dall'intelligente recupero<br />
francese.<br />
Esempio, per una volta italiano, di una posizione<br />
coraggiosa e "radicale", questa avanguardia ci lascia il<br />
merito di aver tentato o suggerito l'evasione verso altri<br />
orizzonti disciplinari, lontani dalla "regola"<br />
architettonica. L'architettura radicale, in quanto<br />
avanguardia destabilizzatrice, non poteva e non doveva<br />
vincere. "Fine ultimo dell'architettura è l'eliminazione<br />
dell'architettura stessa".<br />
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