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Macroarea Appennino meridionale - Regione Piemonte

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) Uno sguardo d’insieme e alcune conclusioni<br />

Qualunque agroecosistema, identificabile con un vero e proprio ‘bioterritorio ’4 , è, in fondo, il<br />

risultato di un intreccio fra storia e geografia (Braudel, 1982); lo stesso autore ritiene che la<br />

conoscenza storica permette di discriminare tre momenti diversi, ma fortemente connessi,<br />

caratterizzati dal susseguirsi di avvenimenti di durata variabile: ultrasecolare o ultramillenaria,<br />

intrasecolare, intraindividuale; ciò sta a significare che le culture locali devono partecipare<br />

alla globalizzazione dell’economia, con la capacità di associare i valori della propria identità<br />

(Matassino e Cappuccio, 1998).<br />

La principale difficoltà che incontra chi si appresta a discutere del Mezzogiorno d’Italia è la<br />

sua forte eterogeneità. A forme di aggregazione del passato di tipo curtense, si affiancano situazioni<br />

nuove con un’evoluzione spesso casuale, le quali danno vita a paesaggi mai piatti o riposanti,<br />

ma che sembrano esprimere l’incertezza e la mancanza di chiari indirizzi produttivi<br />

(Matassino D. e Rubino R., 1986).<br />

Nell’indicazione e nella caratterizzazione dei sistemi di allevamento del Meridione è stato<br />

posto l’accento non tanto sulle localizzazioni quanto sui caratteri specifici di ciascun sottosistema<br />

e sui fattori che, in negativo o in positivo, ne influenzano l’efficienza. È stato dimostrato<br />

che alla base delle differenze tra gli allevamenti vi è il ruolo che giocano le risorse pabulari<br />

e, in modo particolare, quelle provenienti dalle aree demaniali. Infatti, pur essendo queste a<br />

costo zero, la loro irrazionale utilizzazione, oltre ai danni che causa al suolo, influenza negativamente<br />

la produttività aziendale e, pur rendendo apparentemente redditizie produzioni incerte<br />

e scadenti, può rappresentare un rischio nel senso di avviare l’allevatore verso il disimpegno<br />

e l’abbandono della sua attività principale (Matassino D. e Rubino R., 1986). È noto, infatti,<br />

che le aree demaniali rappresentano una quota notevole del territorio ‘interno’ del<br />

Mezzogiorno; l’uso indiscriminato di questo bioterritorio oltre a causare un danno notevole<br />

all’ambiente, impedisce qualsiasi forma di razionalizzazione del settore, con spreco di risorse<br />

e di capacità.<br />

Le aree demaniali potrebbero diventare l’elemento aggregante dell’attuale zootecnia di montagna<br />

e, quindi, rappresentare in futuro il centro vitale di ciascuna area e l’elemento propulsore<br />

di azioni di sviluppo. Al fianco degli interventi già normalmente previsti ed effettuati in alcune<br />

aree (ricoveri, decespugliamento, recinzione dei pascoli, ecc.) si potrebbero costituire i<br />

‘nuclei demaniali di sviluppo integrato polifunzionali’ (NDSIP). Ogni NDSIP sarebbe costituito<br />

da una data superficie di area demaniale e di aziende private in modo da costituire un sistema<br />

produttivo integrato e coordinato. Tale nucleo deve poter usufruire di una specifica consulenza<br />

tecnica computerizzata, in modo che si possa disporre continuamente di elementi oggettivi<br />

di valutazione in diversi momenti dell’allevamento (riproduzione, produzione, alimentazione,<br />

ecc.) al fine di intervenire tempestivamente per elevare il reddito dell’azienda.<br />

4 ‘Bioterritorio’o‘bioregione’ (World Resources Institute, World Conservation Union, FAO, UNESCO,<br />

United Nations, 1992) “un modello di gestione sostenibile delle risorse naturali di un territorio da parte<br />

delle comunità locali”<br />

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