Macroarea Appennino meridionale - Regione Piemonte
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L’origine del bovino Podolico viene concordemente fatta risalire al Bos primigenius o Uro che è<br />
il primo bovino di cui si abbiano reperti, di grande mole, macrocero e il cui addomesticamento si<br />
ritiene che sia avvenuto circa sei millenni avanti Cristo nel Medio Oriente (Matassino D., 2000).<br />
Come evidenziato in alcuni lavori (Matassino D. e Ciani F., 2001; Ciani F. e Matassino D.,<br />
2007), recenti ricerche zooarcheologiche hanno rilevato che un bovino a corna lunghe, con<br />
forma a mezza luna nel maschio e a lira nella femmina, si è diffuso nel bacino mediterraneo<br />
nell’epoca neolitica; a conferma di ciò sono state ritrovate numerosissime iconografie dell’età<br />
dei metalli. Tra queste si ricorda una scultura a colore dell’arte cretese su vaso del periodo<br />
Minoico recente I, datata intorno al 1450 a.C., raffigurante una testa di toro dalle caratteristiche<br />
proprie del bovino macrocero. Sia gli egiziani, sia gli etruschi che i romani hanno continuato,<br />
successivamente, ad allevare questo bovino macrocero giunto nel Mediterraneo<br />
dall’Oriente. Columella (I secolo d.C.) descrive un tipo genetico bovino identico che può essere<br />
identificato con l’attuale Podolico.<br />
Notevole importanza riveste altresí la straordinaria capacità di questo tipo genetico di ‘sfruttare’<br />
anche quelle risorse alimentari che non potrebbero trovare altra destinazione. Esso, infatti,<br />
riesce a valorizzare pascoli cespugliati, stoppie, macchie di bosco, ecc., utilizzando gli apparati<br />
fogliari delle essenze arbustive, i ricacci di quelle arboree e la produzione erbacea del sottobosco<br />
(Matassino, 1990). È opportuno evidenziare, inoltre, che il ridotto metabolismo di base<br />
del bovino Podolico comporta un aumento del tempo di ritenzione degli alimenti nel tratto<br />
‘gastroenterico’ dell’apparato digerente e, pertanto, migliora l’utilizzazione digestiva degli alimenti<br />
anche nelle razioni altamente concentrate (Cianci, 1986). Questo tipo genetico costituisce<br />
il risultato di modificazioni stabilizzatesi nel corso di migliaia di anni (Matassino D.,<br />
2000), le quali hanno determinato cambiamenti genici che hanno portato a un continuo miglioramento<br />
della:<br />
a) ‘capacità al costruttivismo’ e/o della ‘capacità alla diversità’ nei diversi microambienti<br />
(bioterritori), intesa soprattutto come capacità di superare periodi di carenza alimentare;<br />
b) capacità di sopportare, entro ampi limiti, la siccità e le alte temperature, conservando in tali<br />
condizioni ambientali estreme la funzionalità e l’efficienza riproduttiva in entrambi i sessi;<br />
c) attitudine materna, intesa come capacità di partorire senza assistenza, di avere cura della prole<br />
e di produrre un latte per quantità e per qualità tali da consentire un buon sviluppo del vitello;<br />
d)<br />
precocità.<br />
Un altro aspetto di particolare importanza è quello della profonda submarginalità in cui operano le<br />
‘imprese’ zootecniche allevanti il bovino podolico. Vi è il problema della carenza o addirittura<br />
assenza di adeguate strutture e di indispensabili infrastrutture (acqua, energia elettrica, viabilità).<br />
A questa situazione di particolare gravità si aggiunge, anche, la quasi totale ‘ignoranza’ (nel<br />
senso di non conoscenza) da parte degli allevatori delle reali possibilità che potrebbe offrire<br />
loro un allevamento ‘razionale’ del bovino Podolico: molti allevatori praticano la mungitura<br />
manuale a mezzadria (in presenza del vitello che disturba continuamente l’operatore durante<br />
la mungitura, con effetti indubbi sull’igienicità del latte munto, specialmente nelle giornate<br />
piovose e/o ventose); normalmente il locale per la mungitura non esiste e spesso è costituito da<br />
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