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Terra, Fuoco, Acqua, Aria: LA CALCE A cura di Alessandro Battaglia ...

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<strong>Terra</strong>, <strong>Fuoco</strong>, <strong>Acqua</strong>, <strong>Aria</strong>: La Calce<br />

E‟ chiamata marmorino la malta preparata con calce spenta (grassello)<br />

mescolata a polvere <strong>di</strong> marmo e utilizzata come stucco e/o come intonaco.<br />

Marmorino è pertanto sinonimo <strong>di</strong> stucco, quando l‟impasto è trattato<br />

in modo da imitare la consistenza e la brillantezza <strong>di</strong> superfici in<br />

marmo.<br />

Mentre marmorino può essere riferito ad un particolare tipo <strong>di</strong> intonaco<br />

(intonaco marmorato) quando è applicato come strato <strong>di</strong> finitura,<br />

composto da un impasto <strong>di</strong> grassello e polvere <strong>di</strong> marmo, ed eventualmente<br />

lucidato.<br />

La tecnica <strong>di</strong> intonaco a marmorino è descritta nel Dizionario Tecnico<br />

del 1884: “Intonaco marmorato. Gli antichi romani facevano un intonaco<br />

colorito, e lo davano in sei <strong>di</strong>stinte mani che tutte insieme non oltrepassavano<br />

la grossezza <strong>di</strong> circa 27 millimetri: le prime tre erano <strong>di</strong><br />

calce e sabbia, o rena comune, e rispondevano agl‟intonachi or<strong>di</strong>nari<br />

presentemente in uso: le altre tre mani si davano con una pasta <strong>di</strong> calce<br />

e polvere <strong>di</strong> marmo: l‟ultima mano era battuta con mestola <strong>di</strong> legno<br />

e quin<strong>di</strong> arrotata con marmo per fargli prendere un pulimento matto,<br />

ossia senza lustro. Su questo intonaco si davano i colori, che si mantenevano<br />

brillanti strofinandoli con cera strutta nell‟olio purissimo e data<br />

a caldo. Quando era raffreddata, si faceva struggere <strong>di</strong> nuovo, avvicinando<br />

al muro un caldano e si lasciava che l‟intonaco se ne imbevesse<br />

a saturazione”.<br />

L‟impiego del marmorino per le finiture degli e<strong>di</strong>fici era conosciuto<br />

già al tempo dei Romani, Vitruvio ne parla infatti nel I° secolo a.C.<br />

nella sua opera “De Architectura”; a quel tempo veniva usato in spesse<br />

e multiple stratificazioni che arrivavano anche a <strong>di</strong>eci centimetri,<br />

ottenendo così una superficie liscia, compatta e piana. Talvolta i primi<br />

strati erano costituiti da calce e coccio pesto che, essendo poroso, era<br />

in grado <strong>di</strong> assorbire una maggiore quantità <strong>di</strong> sali solubili nelle murature<br />

umide. Ovviamente simili realizzazioni imponevano l‟impiego <strong>di</strong><br />

una grande quantità <strong>di</strong> manodopera, oltre che una mirabile organizzazione<br />

del lavoro, perché necessitavano <strong>di</strong> una lavorazione particolarmente<br />

energica sia per fare compattare l‟inerte sia per fare trasudare<br />

l‟acqua dell‟impasto sulla superficie.<br />

Nel me<strong>di</strong>oevo l‟intonaco con polvere <strong>di</strong> marmo fu utilizzato solo per<br />

le stesure <strong>di</strong> base da <strong>di</strong>pingere poi ad affresco. Tale impiego rimase<br />

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