esperienze di avvio degli organismi di vigilanza ex d.lgs n. 231/2001

monocratico. Ovviamente, si tratta di un caso abbastanza raro,
ma esistono anche queste realtà. Ciò per testimoniare l’estrema
eterogeneità del quadro che abbiamo di fronte, in cui sono
presenti assetti che paiono porsi in contraddizione con l’esigenza
di autonomia, di indipendenza, e anche, direi, di “interdisciplinarità”.
Nelle discussioni dedicate alla configurazione
ottimale degli organismi di vigilanza, non è raro infatti imbattersi
nell’osservazione – che io personalmente condivido -
secondo cui, per svolgere appieno il loro compito, essi dovrebbero
esprimere al proprio interno professionalità diverse.
Questa esigenza, evidentemente, non si concilia innanzi tutto
con un organo a composizione monocratica, e poi con quelle
situazioni nelle quali all’interno dell’organismo non si rinvenga
un certo pluralismo di competenze professionali.
Del resto noi stessi, da penalisti, nell’addentrarci sempre
più in queste problematiche, siamo ben consapevoli della
necessità di integrare le nostre competenze con quelle, ad es.,
di economisti aziendali, scienziati dell’organizzazione ed
esperti di diritto commerciale. Il nostro progetto di approfondimento
delle problematiche poste dal d.lgs. 231 e, più in
generale, dal corporate crime, è anzi strutturato in modo da
tenere sempre aperto e vivo l’interscambio con i colleghi portatori
di prospettive disciplinari “altre”.
AMATO: È anche vero che escludere a priori la legittimità
di un organismo uni-personale, specialmente in enti
molto piccoli, che devono tenere conto anche di ovvie esigenze
di natura economica, sarebbe forse eccessivo: non la vedrei
– pregiudizialmente – come la migliore delle soluzioni, ma
neppure come la peggiore; comunque non la escluderei.
FORTI: Sì, è vero. Peraltro i casi di organismi monocratici
che abbiamo potuto constatare riguardano anche imprese
di grandi dimensioni.
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