esperienze di avvio degli organismi di vigilanza ex d.lgs n. 231/2001

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inventiamo, se non c’è la contropartita della propria autorevolezza, che vale molto di più della moneta che si può ricevere dall’impresa, l’autorevolezza di essere un soggetto vigilante ed accreditato in qualche modo, sarà impossibile sganciare l’organismo di vigilanza dalla dipendenza dal padrone. Lo constatiamo, purtroppo, per i collegi sindacali, dove abbiamo nomi illustri di persone che sono cieche e sorde. Quando vai a vedere i bilanci di queste società, ti chiedi: ma il collegio sindacale non se n’è accorto? Come ha fatto a non vedere queste cose? E guardando i titoli accademici dei membri del collegio sindacale spesso ti meravigli di tutto questo. In qualche modo il ritardo della vigilanza sui bilanci, che noi continuiamo a registrare nel mondo delle società, ci segnala l’enorme difficoltà che avremo rispetto all’implementazione di un modello di vigilanza interna che sia davvero autonoma e indipendente. Per riprendere il filo del discorso, io sono convinto che, dei punti indicati, quello centrale - perché più importante e comune a qualsiasi realtà aziendale - sia relativo ai flussi informativi. Autonomia nell’accesso ai flussi informativi (nel caso, ad esempio, della corruzione) significa che io devo potere avere accesso a tutti i conti bancari della società senza chiedere a nessuno. Cioè dal mio terminale devo potere controllare l’operatività dei conti bancari della società, di tutte le operazioni finanziarie svolte dalla società. Sulla composizione dell’organismo, salva l’ovvia considerazione che sopra una certa dimensione aziendale la collegialità è una garanzia direi necessaria, io preferirei tendenzialmente soggetti interni all’azienda o comunque una significativa presenza di soggetti interni. Nel senso che, da quello che io vedo, il professionista esterno non garantisce molto, né come incisività della vigilanza, né come conoscenza della realtà investigata. Il problema, secondo me, non è tanto di etichette (cioè di dire: «abbiamo fatto un bell’organismo, con questi bei nomi, 30
che ci dà garanzia»), ma di avere una vigilanza interna forte e incisiva. Il che significa creare delle professionalità interne alle aziende, con certe capacità e competenze. Direi dunque che i punti elencati alle lettere b) ed a) sono centrali, ma con questa precisazione. Gli altri aspetti considerati, secondo me, sono sicuramente rilevanti, però direi che davvero hanno un’articolazione differente a seconda delle diverse imprese. Non riterrei un requisito essenziale dotare l’organismo di vigilanza di poteri disciplinari. La dotazione finanziaria è necessaria, ma non è pensabile un modello in cui non ci sia limite di spesa. In particolare, poi, in relazione alla responsabilità in materia colposa, perché se ci si vuole garantire dalla prevenzione dei rischi di infortuni, e non si ha budget di spesa, allora l’impresa fallisce in breve tempo. Mi fermo qui, per il momento. FUSCO: Gli spunti sono già tanti. Il problema dell’informazione è sicuramente il problema centrale, tanto è vero che almeno un paio degli altri punti indicati sono esattamente funzionali al flusso di informazioni, perché, in ultima analisi, anche la dotazione delle risorse finanziarie può giovare a favorire il flusso di informazioni. Ma soprattutto penso al punto e) dell’elenco: la partecipazione alle riunioni degli organi gestori, se ha una finalità, è quella di acquisire delle informazioni quasi in tempo reale. Io credo che dall’esperienza - che è ancora un’esperienza minima, se vogliamo, ma già esiste - si possano cominciare a trarre alcuni elementi. Esistono tante e diverse realtà imprenditoriali che non necessariamente coincidono con la dimensione dell’azienda, perché è verissimo quello che ci ha riferito il dott. Cascini: ci sono aziende, anche quotate, nelle mani di 31
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