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ansia), con conseguente variabilità delle soglie di reattività costituzionale (condizionamento) agli<br />

stimoli esterni.<br />

Per quanto riguarda i meccanismi biologici della reazione di stress gli stimoli, raccolti dagli<br />

organi di senso <strong>per</strong>iferici, raggi<strong>un</strong>gono le aree sensitive primarie, via midollo, mesencefalo e<br />

talamo. Vengono quindi elaborati e integrati dalle aree associative parietali, temporali e occipitali<br />

che producono il substrato simbolico astratto dell'es<strong>per</strong>ienza socioculturale. Il lobo frontale ha <strong>un</strong><br />

ruolo centrale di collegamento fra codesto substrato, i centri depositari dei "comportamenti<br />

ancestralmente appresi" (sistema limbico-striato) e i centri depositari degli istinti vitali di base<br />

(ipotalamo). A livello di tale collegamento si situa l'azione di controllo dalla cui efficacia dipende la<br />

messa in o<strong>per</strong>a o meno di adeguate difese psicologiche. Avviene così l'interazione tra individuo e<br />

situazione-stimolo, determinata anche dal tipo e dalla intensità del condizionamento, ovvero dalle<br />

eventuali es<strong>per</strong>ienze precedenti. Dal possibile esito negativo di tale impatto deriva la alterazione<br />

della economia dell'organismo: ipotalamo e sostanza reticolare non coordinano più le f<strong>un</strong>zioni<br />

ipofisaria, vagale e simpatica con conseguenti disordini di ordine fisiopatologico, in cui si situa<br />

anche il processo di affaticamento.<br />

Secondo le teorie originali di Selye, gli effetti nocivi dello stress, sul piano biologico,<br />

avrebbero dovuto essere ricondotti ad <strong>un</strong>a condizione di usura determinata da <strong>un</strong>a attivazione<br />

(neurovegetativa e corticosurrenale) eccessivamente protratta o ripetuta. La reazione allo stimolo<br />

stressante era suddivisa infatti in tre fasi -allarme, resistenza ed esaurimento- e finalizzata a<br />

mobilitazioni muscolari, riass<strong>un</strong>te nell'atteggiamento di lotta/fuga ("fight/flight") a seconda della<br />

capacità dell'individuo di affrontare o meno lo stimolo stesso. I risultati dannosi del cosiddetto<br />

"stress mentale" (o "fatica mentale") erano attribuiti alla aspecifità della reazione di stress le cui<br />

finalità energetiche erano im<strong>per</strong>corribili (impossibilità di intraprendere <strong>un</strong> comportamento di<br />

lotta/fuga di fronte alla "minaccia psicologica") con conseguente accumulo tossico di adrenalina,<br />

cortisone e soprattutto delle loro conseguenze fisiologiche e metaboliche (es. aumento della<br />

vigilanza, della pressione arteriosa, dei grassi nel sangue, della glicemia eccetera).<br />

In realtà come è posto in evidenza dalla Figura 1 si è dovuto riconoscere che le cose stanno<br />

<strong>un</strong> po' diversamente. La reazione di stress si colloca all'interno di <strong>un</strong>o spettro di comportamenti, con<br />

estremi – pattern 1 e 2 – praticamente opposti tra di loro. Ovvero, di fronte a <strong>un</strong>a situazione<br />

minacciosa, oltre alla risposta "attiva" prevista da Selye, è possibile <strong>un</strong>a risposta "passiva",<br />

caratterizzata da inibizione, che, nelle sue corrispondenze comportamentali osservate nella<br />

s<strong>per</strong>imentazione animale, si esprime come giocare a fare il morto ("playing dead reaction"). Nel<br />

corso di questo atteggiamento, scatenato da stimoli non controllabili, si osservano app<strong>un</strong>to blocco<br />

motorio, vasocostrizione, probabile i<strong>per</strong>tono vagale e aumentata produzione di testosterone.<br />

Recentemente sono stati sottolineati gli aspetti positivi, “salutogenici” dello stress, ovvero è<br />

stata sottolineata l’utilità di <strong>un</strong> certo livello di stress <strong>per</strong> rendere ottimale la prestazione fisica e<br />

mentale (12). Antonovsky, che è il principale esponente di tale approccio, ha addirittura coniato il<br />

termine “eterostasi” (13), contrapposto ovviamente a omeostasi, <strong>per</strong> indicare lo squilibrio<br />

necessario all’organismo <strong>per</strong> f<strong>un</strong>zionare al meglio. In effetti, le teorie di Antonovsly se correggono<br />

giustamente l’accezione solo negativa dello stress, non aggi<strong>un</strong>gono in sostanza nulla<br />

all’impostazione psicofisiologica fin qui considerata, come verrà rilevato nel paragrafo seguente.<br />

Gli ultimi sviluppi della teoria dello stress, se da <strong>un</strong>a parte "complicano", dall'altra parte<br />

riparano ad <strong>un</strong> certo meccanicismo biologico, che imponeva difficoltà notevoli alla comprensione<br />

delle problematiche adattative e dei processi di affaticamento in genere. Il modello interpretativo<br />

descritto ben corrisponde alle moderne esigenze di tutela e promozione della salute <strong>per</strong> almeno tre<br />

ragioni fondamentali:<br />

- è supportato o almeno non contraddetto da numerosi es<strong>per</strong>imenti condotti <strong>per</strong> lo più<br />

sull'animale, ma anche sull'uomo e in campo reale;<br />

- mantiene <strong>un</strong> buon valore euristico, ovvero <strong>per</strong>mette di <strong>un</strong>ificare all'interno di <strong>un</strong>o schema<br />

coerente <strong>un</strong> grandissimo numero di rilevazioni circa i rapporti tra i fattori psico-sociali,<br />

l'attività simbolica dell'individuo e i disordini dello stato di salute;<br />

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