Antonello MaiettaSaranno famosiI vigneti di Luciano Capellini si sviluppano sui pendii di Volastra, minuscola frazione del comune di RiomaggioreLa cantina“dervin bun”A RIOMAGGIORELUCIANO CAPELLINIHA EREDITATOLA PASSIONEDI NONNO BERNARDO,CHE IN PAESEE NEI DINTORNIERA MOLTO CONOSCIUTOPER LA SUA PRODUZIONEDI QUALITÀQuando si parla di CinqueTerre il nostro pensiero sirivolge subito, con granderispetto e ammirazione, auna comunità di persone che nelcorso dei secoli ha saputo plasmarela natura ostile di un territorio pertrarne il proprio sostentamento.Questi insediamenti hanno avuto originenel primo secolo del Medioevo,quando gli abitanti della media valledel fiume Vara superarono lo spartiacquedella catena costiera per stabilirsipermanentemente nei pressidel litorale marino. Una migrazionedeterminata essenzialmente dall’esistenzalungo la costa di un climamigliore e quindi più adatto alla coltivazionedi alcune varietà a loro giànote come la vite e l’olivo. I primiabitanti erano prevalentemente contadini,poco inclini quindi ad affrontarei pericoli del mare per dedicarsial mestiere di pescatore o di navigante,ma consapevoli che l’ agricolturasarebbe stata l’unica possibilitàdi sopravvivenza per intere generazionied allo stesso modo inconsapevoliche tanto ingegno e tantaoperosità sarebbero stati un giornoriconosciuti come “patrimonio mondialedell’umanità”.Luciano Capellini è uno dei personaggipiù recenti che, sulla scia diquel precursore che è stato WalterDe Battè alla fine degli anni Ottanta,hanno saputo raccogliere l’ereditàdi quei vignaioli che, con caparbietàe tenacia, hanno modellato nelcorso dei secoli la fitta tessitura deiterrazzamenti coltivati a vigneto. Enon è cosa da poco perché negli ultimicinquant’anni, a causa della fugadei giovani verso le città, l’attivitàvitivinicola nelle Cinque Terre erarimasta completamente a caricodella popolazione anziana. Il progressivoabbandono del territorioaveva determinato una drasticariduzione della superficie vitata,nonché della produzione, creandonel tempo l’attuale situazione digrave dissesto idrogeologico e dideclino paesaggistico. Non bisognain ogni caso dimenticare che nelleCinque Terre la dedizione alla vigna60
fa parte ancora oggi del Dna degliabitanti proprio perché la produzionedi vino ha rappresentato per secolil’unica opportunità nell'economiadella famiglia.Nel caso di Luciano, il bisnonno producevavino già nella seconda metàdel 1800, ed era una quantità ragguardevolevisto che nei racconti dell’epocaè documentata una produzionesuperiore alle cento some divino (una soma era pari a 80 litri).Tale quantità si dimezzò al passaggiodell’azienda al nonno Bernardoe, con il successivo passaggio al figlioOreste, papà di Luciano, la cantinaera diventata di fatto un secondolavoro poiché nel frattempo le fabbrichedella Spezia e di Genova, l'arsenalemilitare e la navigazione avevanoassorbito la parte preponderantedella forza lavoro maschile,consentendo un reddito e una vitamigliori. Ad accudire la casa, l’ortoe la vigna restavano pertanto ledonne, non deve destare pertantostupore che, in un concetto di vitapatriarcale, la moglie condividessecon il marito la gestione economicadella famiglia e detenesse anche lachiave della cantina."Vien, vien a vede come si fa er vinbun", diceva nonno Bernardo mentresi infilava sotto l'autedo e piegavail peduncolo ai grappoli dorati, lacantina di nonno Bernardo era infatticonosciuta in zona come la cantina"der vin bun", del vino buono.Probabilmente quelle parole e queigesti lenti e cadenzati sono rimastia lungo nella mente di Luciano intutti gli anni in cui la sua attivitàprofessionale l’ha portato lontano dalterritorio. E sono riemersi con prepotenzanel momento in cui ha deciso,per libera scelta, di “ereditare” lachiave della cantina di famiglia.La superficie della sua piccola aziendaagricola copre oggi un’area dicirca seimila metri quadrati, ma prestosi arriverà a un ettaro per poterottimizzare le risorse disponibili, ivigneti sono disposti prevalentementetra la “costa da posa” e la “valledei pozzi” nei pressi di Volastra,minuscola frazione del comune diRiomaggiore, a una altezza oscillantetra i 250 ed i 370 metri sul livellodel mare. Gli impianti sono ad“autedo”, il pergolato tipico del territorio,tuttavia sono in avanzata fasedi sperimentazione nuove forme dicoltivazione che, senza stravolgerela caratteristica della zona, tendonoad alzare il sistema di allevamentoportandolo ad una altezza di circa150 centimetri nella parte più bassae di circa 190 nella parte più alta.Tutto questo dovrebbe rendere decisamentepiù agevole la lavorazionesenza costringere il vignaiolo a postureche nel tempo potrebbero comprometternele condizioni fisiche. Leprime prove con i pergolati alzati direcente non hanno prodotto alcundanno anzi, è stata migliorata l'esposizioneal sole pur mantenendo ilgrappolo più vicino alla terra per lamaturazione. Del resto è molto probabileche in passato la scelta dimantenere bassi i vigneti sia statadettata, oltre che dalle problematichecreate dal vento, dalla oggettivadifficoltà nel reperire legname a suf-61