CompleanniSassicaia,40 anni di Supertuscandi Carlo CambiCapita in queste settimane leggendo cronache sulvino di riandare con la memoria a un librettodimenticato in fretta, è Diario Notturno di EnnioFlaiano che contiene, tra i tanti aforismi, un’icasticanoticina del grande pescarese: la situazione in Italia ègrave, ma non è seria. Aleggia il fantasma di Ciravegna,si cercano scoop nelle cantine indagando se su centochilometri di barbatelle per caso non ci sia scappatauna vite di cabernet tra un mare di sangiovese grossodi Toscana. E tutto fa notizia. Ma fa anche danno. Perdirla in italiano corrente hanno messo un po’ di sterconel ventilatore e hanno azionato l’interruttore.Se continua così ci scappa un nuovo aforisma da applicareal vino italiano: veniamo da lontano, ma non andremolontano. Invece il calendario ci consegna qualcosadi cui andare orgogliosi che – chissà perché – è sfuggitoal circo mediatico. Troppo impegnato evidentementea cercare il pelo nel mosto. Si compie quest’anno ilquarantennale di una rivoluzione che ha consentito alvino italiano, e segnatamente a quello toscano, di cominciarela sua ascesa mondiale.E’ stato un ’68 in cantina che ha potato la fantasia, laqualità, l’internazionalità al potere e che ha segnatola nostra recente storia enologica. E’ stato il nostroRinascimento in vigna e in bottiglia. Serve ricordarloa coloro i quali oggi si dichiarano puristi senza se e controppi ma, o a quelli che avendo contribuito a gonfiareoltre ogni limite notorietà effimere ora stanno allineatie coperti. Sì c’è una data nel mondo del vino chenon può, e maggior ragione oggi, passare inosservata:è l’ottobre 1968 quando si compì la prima vendemmiadi Sassicaia destinata alla commercializzazione.Niente nel vino toscano dopo quella data sarebbe statopiù eguale. Sul vino della tenuta San Guido si sonoscritte migliaia di parole, non tutte sensate e spessosi è cercato di alimentare il mito partendo o dall’improvvisazioneo dall’enfatizzazione. La verità del Sassicaiaper fortuna è altra e più alta di quella che hanno volutoaccreditare critici, cronisti e storici.Le ragioni della grandezza di questo vino risiedonosoprattutto nella mutazione di pensiero che esso haprodotto e che vanno al di là della pure eccellente carrieradegustativa del Sassicaia. Vediamo di capirci edi comprendere perché De Vinis s’interessa di nuovoalla bottiglia di Niccolò Incisa della Rocchetta, tantofamosa da non fare più notizia. E invece è proprio l’attualitàpresente del vino italiano a rendere il Sassicaiaimprescindibile.Converrà ripercorrere la storia di questa bottiglia unicaal mondo perché non si è mai dato che in quattro decenniun territorio senza storia enologica diventasse ungiacimento assoluto di qualità. Si capisce perché ilSassicaia non sia un vino eccellente, ma sia uno deipochissimi grandi vini d’Italia: perché ha un’anima eun pensiero dominante.Se valutiamo con discernimento potremo infatti concludereche mai nel mondo un vino con una biografiacosì breve è diventato un emblema. Se pensiamo aigrandissimi francesi, Margaux, Latourre, RomaneèConti, Obrion, Petrus, scopriamo che hanno impiegatosecoli per diventare bottiglie-mito.Nascono questi grandi bordolesi e borgognoni da terreche sono state deputate a produrre qualità da almenoduecento anni, furono pensati per essere commercializzati.Di quei territori si sa tutto: ci sono quaderni dicampagna che vendemmia dopo vendemmia hanno stratificatotestimonianze che si sono fatte esperienza ecompetenza. Infine hanno avuto alle spalle un sistema80
Bolgheri, porta d’ingressoal borgo medioevaleBolgheri, torre campanariaPaese che li ha sostenutie hanno avuto perproduttori Chateauxche si sono industriatia creare l’immagine diquesti vini.Il Sassicaia di tuttoquesto nulla ha avuto.Il progetto iniziale diMario Incisa non eraneppure quello di fareun vino da vendere, maera semmai produrrepoche bottiglie per sé eper gli amici. In tuttoquesto sta l’eccezionalitàdella bottiglia conla stella a otto punte. Perché non c’è stata degustazionenel mondo in cui il Sassicaia non abbia rivaleggiatoad armi pari, e spesso sovrastato, i grandi francesi;non c’è degustazione in cui non abbia stupito.E’ un unicum, è il vino del secolo come hanno decretatoi maggiori e più intellettualmente onesti critici internazionali,e come tale è giusto celebrarlo. A molti parveun eccesso di piaggeria, quasi un esercizio sciovinista,l’idea di Michil Costa di dedicare nel suo La Perla diCorvara un tempio al Sassicaia e di creare i cavalieri diquesto vino. Oggi ci appare solo come un modesto omaggioalla grandezza assoluta dell’intuizione di Mario Incisadella Rocchetta e della creazione di Giacomo Tachis.Ma anche in questo il Sassicaia è diventato emblematico.In molti si sono provati a distruggerlo: hanno cominciatoa dire che era ipervalutato, che non era più quellodi una volta, che eradiventato troppo popolare.E’ la debolezza delsistema Italia che sispecchia in questi esercizi,talvolta anche beceri,di retorica. Mai ifrancesi hanno messoin dubbio i loro grandissimi. A noi capita e sicapisce perché, nonostantetutto, siamosempre un passo indietro.Ma per comprendereche cosa il Sassicaiaha significato si deveandare oltre il suo purinebriante profilo. Il Sassicaia ha determinato tre fenomeniche hanno cambiato il vino italiano. Ha introdottoi vitigni internazionali (soprattutto ha imposto ilcabernet sauvignon) nelle nostre vigne e ha inventatoi supertuscan, ha restituito immagine di eccellenza alvino italiano, ha cambiato le tecniche enologiche sdoganandola barrique, imponendo affinamenti non estenuanti,costringendo le cantine a misurarsi con i loroterreni. E ha fatto sì che i vini venissero finalmente progettatie non fossero più soltanto ciò che per abitudinesi ricavava dalla terra. Infine ha letteralmente inventatoil terroir di Castagneto da cui poi sono nati altrivini eccellenti: Guado al Tasso, Ornellaia, Masseto,Messorio, Grattamacco.Senza il Sassicaia tutto questo non ci sarebbe. In questosenso è stato un sessantotto in cantina: ha cambiatola mentalità dei vignaioli. Gridavano gli studenti81