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L’<strong>in</strong>contro di Carol<strong>in</strong>a<br />

di Monica Tusconi<br />

C’era una volta e forse c’è ancora , ai marg<strong>in</strong>i di un piccolo paese ,proprio alla f<strong>in</strong>e della strada pr<strong>in</strong>cipale che lo attraversava come un<br />

fiume grigio d’asfalto, un grande edificio di mattoni rossi ormai dismesso e cadente , protetto da un giard<strong>in</strong>o di rovi e sterpaglie che lo<br />

avvolgevano quasi ad impedirne la vista ,lo schermavano tanto che dalla strada lo si <strong>in</strong>travedeva appena. Sulla r<strong>in</strong>ghiera arrugg<strong>in</strong>ita e<br />

sgangherata penzolava un cartello,ormai logoro anch’esso , sbiadito dal passare degli anni e delle stagioni che a caratteri cubitali diceva<br />

: “Fabbrica di.. ” e poi non si riusciva più a leggere nulla. Carol<strong>in</strong>a quella domenica era <strong>in</strong>tenta a cercare un vivaio, le avevano detto<br />

che da quelle parti ce n’era uno dove certo avrebbe trovato f<strong>in</strong>almente l’albero giusto da piantare nel suo giard<strong>in</strong>o, dopo la curva<br />

rallentò appena ma tanto quanto bastò a <strong>in</strong>travedere delle grandi f<strong>in</strong>estre spalancate come gli occhi di un gatto nascosto tra i cespugli<br />

ed ebbe un brivido nel riconoscere <strong>in</strong> quel vecchio edificio qualcosa di fam<strong>il</strong>iare ,fu una sensazione di mal<strong>in</strong>conia e piacere <strong>in</strong>sieme<br />

come quando si <strong>in</strong>contra un amico e si comprende con una sola occhiata la sua evidente malattia. La ragazza aveva ormai superato la<br />

lunga r<strong>in</strong>ghiera arrugg<strong>in</strong>ita che delimitava la proprietà quando risentì nella sua testa, a chiare lettere ,la voce di sua nonna. Quando<br />

era bamb<strong>in</strong>a la nonna alle sue domande <strong>in</strong>calzanti di Carol<strong>in</strong>a sul perché non la potesse tenere <strong>in</strong> braccio sulle g<strong>in</strong>occhia, aveva sempre<br />

risposto raccontandole una storia e così Carol<strong>in</strong>a si accoccolava ai suoi piedi mentre la nonna ,accarezzandole la testa riccioluta poggiata<br />

sul suo grembo ,<strong>in</strong>iziava <strong>il</strong> suo racconto, sempre nello stesso modo e sempre preceduto da una specie di f<strong>il</strong>astrocca:<br />

“ Lavorare è una benedizione per un uomo una donna e <strong>in</strong> ogni nazione, ma per poter lavorare <strong>il</strong> cuore tran<strong>qui</strong>llo devi avere, lavorare<br />

non è un avventura , non si lavora con la paura..”<br />

Da grande Carol<strong>in</strong>a aveva capito che quello che a lei da bamb<strong>in</strong>a era parsa una f<strong>il</strong>astrocca <strong>in</strong> realtà era stato una specie di “slogan” di<br />

protesta dopo la sciagura della fabbrica dove aveva lavorato la nonna . Così la def<strong>in</strong>iva suo padre , “la sciagura” e poi aggiungeva: “<br />

Tua nonna è stata una miracolata ad aver lasciato solo una gamba <strong>in</strong> quell’<strong>in</strong>ferno, una vera miracolata….” Ecco, ne era sicura ,la<br />

fabbrica dei racconti della nonna e della sciagura alla quale si riferiva suo padre doveva essere proprio quella che lei aveva appena<br />

<strong>in</strong>travisto, le l<strong>in</strong>gue di fuoco uscite dalle f<strong>in</strong>estre che avevano annerito la facciata disegnando strani arabeschi neri sui mattoni rossi<br />

erano esattamente le stesse che aveva visto nelle fotografie tenute <strong>in</strong>sieme da un elastico che la nonna custodiva nel cassetto della<br />

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