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104 Spigolature<br />
la cibernetica, ritenuto anche il precursore<br />
della computer ethics, e Nicholas<br />
Negroponte, informatico, tra i più audaci<br />
pensatori della rivoluzione digitale,<br />
la cui idea rivoluzionaria richiama direttamente<br />
alcuni princìpi fondamentali<br />
«della controcultura degli anni Sessanta,<br />
quali la decentralizzazione, la scomparsa<br />
del concetto di Autorità, l’armonia globale,<br />
l’eguaglianza dei cittadini, la volontà<br />
di una società nuova» (p. 2).<br />
Da Norbert Wiener ad oggi la storia<br />
della rivoluzione informatica non è stata<br />
caratterizzata da unanime consenso. Ziccardi<br />
ricorda come la considerazione di<br />
computer e tecnologie in genere sia<br />
cambiata radicalmente dagli anni Sessanta<br />
agli anni Novanta. Negli anni della<br />
contestazione studentesca, caratterizzati<br />
da un forte fermento culturale e politico,<br />
i computer divenivano simboli di<br />
quella struttura/macchina sociale, figlia<br />
dell’era industriale, che si voleva combattere.<br />
«Negli anni Novanta la (nuova)<br />
tecnologia, soprattutto Internet, diventa<br />
al contrario la leva con la quale far saltare<br />
e collassare i lati negativi della macchina<br />
sociale» (p. 12).<br />
Nel primo capitolo, tracciando la<br />
storia dello sviluppo delle tecnologie informatiche,<br />
l’autore mette in evidenza<br />
come Usenet prima e Internet poi siano<br />
stati i diretti discendenti del pensiero<br />
degli anni Sessanta. In quel periodo veniva<br />
già pensato, forse solo sognato, un<br />
medium che avrebbe permesso l’affermarsi<br />
di una democrazia partecipativa; è<br />
del 1962 la redazione del Port Huron<br />
Statement, redatto dallo SDS (Students<br />
for a Democratic Society), che si ispira al-<br />
le idee di C. Wrigth Mills, sociologo<br />
statunitense ancor oggi considerato tra i<br />
più importanti critici della società americana.<br />
In particolare, Mills evidenziava<br />
la sempre maggiore concentrazione di<br />
potere nelle mani di pochi ed il progressivo<br />
disinteresse della gente comune alla<br />
politica. Favorire una democrazia partecipativa<br />
voleva dire, in quegli anni, ridare<br />
alla gente la «possibilità di condizionare<br />
e scegliere le decisioni che riguardano<br />
il Paese in generale e le loro vite individuali<br />
in particolare» (p. 18). Per poterlo<br />
fare, era necessario anche identificare<br />
i mezzi. Ecco che lo “Statement” traccia<br />
l’identikit di un medium con delle potenzialità<br />
che oggi indossano perfettamente<br />
il vestito di Internet: «creare delle<br />
community, dei personal link da uomo<br />
a uomo, […] sharing dei problemi pubblicamente»<br />
(p. 19) etc. Bisognerà aspettare<br />
gli anni Ottanta perché l’ambito disciplinare<br />
della computer ethics si delinei<br />
e si affermi in modo stabile. Tra i primi<br />
autori che portano la questione etica dei<br />
computer al cospetto del grande pubblico,<br />
Ziccardi cita Walter Maner e James<br />
Moor: il primo faceva riferimento a «temi<br />
quali la privacy e la riservatezza, i crimini<br />
informatici, le decisioni prese dai<br />
computer, la dipendenza dalla tecnologia<br />
e i codici di etica professionale» (p.<br />
21); il secondo individuava nell’estrema<br />
duttilità ed universalità di utilizzo del<br />
computer la principale causa per cui, rispetto<br />
ad altre tecnologie, questo mezzo<br />
poteva sollevare questioni etiche così<br />
importanti.<br />
Il secondo capitolo dell’opera prende<br />
in esame la netiquette, traducibile come