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qui - maria vita romeo

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30 Denis Kambouchner<br />

maso d’A<strong>qui</strong>no, per esempio nella Summa Teologica, II-II, q. 1. All’articolo<br />

4 (L’oggetto della fede può essere una cosa vista?) si leggeva:<br />

La fede (che si riferisce a Dio e alle cose divine, alla <strong>vita</strong> eterna ed a ciò che là<br />

ci conduce) implica un assenso dell’intelligenza a ciò che si crede. Ma l’intelligenza<br />

aderisce a qualcosa in due modi. O perché essa vi è portata dall’oggetto,<br />

il quale è ora conosciuto da sé stesso (è il caso dei princìpi primi, materia<br />

di semplice intelligenza), ora da altra cosa, come si vede nelle conclusioni, che<br />

sono la materia della scienza. Oppure l’intelligenza aderisce a qualcosa senza<br />

esservi pienamente spinta dal suo proprio oggetto, ma legandosi volontariamente<br />

per scelta a un partito piuttosto che ad un altro. Se si prende questo partito<br />

con un residuo di esitazione e di timore in favore dell’altro, si avrà una opinione,<br />

ma se si prende partito con certezza e senza alcun residuo di tale timore, si<br />

avrà una fede.<br />

Da <strong>qui</strong> l’enunciato della q. 2, art. 1: «L’intelligenza del credente è determinata<br />

ad una cosa non dalla ragione, ma dalla volontà».<br />

E tuttavia, su una questione in ogni modo assai difficile, lo svolgimento<br />

cartesiano può sembrare di una grandissima tran<strong>qui</strong>llità. Lascia in<br />

ogni caso sussistere una difficoltà considerevole, con il seguente punto: richiamando<br />

il lume interiore con cui Dio ci illumina in modo soprannaturale,<br />

Descartes non dice che questo lume ci fa credere quello che noi<br />

crediamo, ma che esso ci fa molto chiaramente conoscere che bisogna crederlo.<br />

Questo punto è più chiaro nella lettera dell’agosto 1641 allo sconosciuto<br />

che si chiama Hyperaspistes («il campione»), e costituisce come<br />

una nuova serie di risposte non incluse nelle Meditazioni. Descartes scrive<br />

(punto 3, AT III 426):<br />

Non ho detto che con il lume della<br />

grazia noi conosciamo chiaramente i misteri stessi della fede (sebbene io non<br />

neghi che ciò si possa fare), ma soltanto che noi abbiamo fiducia che è necessario<br />

crederle (nos confidere illis esse credendum).<br />

Abbiamo fiducia, confidimus: il termine <strong>qui</strong> è ricorrente. Nelle Seconde<br />

Risposte (AT VII, 148, 9), si applicava direttamente alla rivelazione;<br />

<strong>qui</strong> egli si applica alla necessità di credere. Il lume soprannaturale, da cui<br />

noi siamo rischiarati, ci fa vedere le cose rivelate come effettivamente rivelate,<br />

e così vi aderiamo in quanto esse sono da credere.

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