Caravaggio, Davide e Golia, 1597-1598 ca., olio su tela, 110 × 91 cm, Madrid, Museo del Prado
LAURENCE DEVILLAIRS Considerazioni sul Dio di Descartes TRADURRE, TRADIRE. PERSINO L’OPERA recente di Umberto Eco non può non farci pensare al frequente accostamento che si effettua fra traduzione e tradimento: «dire quasi la stessa cosa» comporta sempre il rischio di parlare al di là della cosa. Le numerose correzioni che apportò al testo latino delle Meditazioni mostrano a quale punto Descartes fosse scrupoloso sulla scelta dei termini, come provano particolarmente le Lettere del 4 e del 18 marzo 1641 indirizzate a Mersenne. Se ogni parola conta, si può sperare che ogni parola della traduzione sia pensata e soppesata. La traduzione delle Meditazioni del duca di Luynes poteva fare affidamento su un testo iniziale perfettamente riveduto e corretto. Tuttavia, su un punto preciso, che a tutta prima potrebbe essere considerato un dettaglio, noi desidereremmo mostrare che la traduzione è non soltanto fallace ma che essa opera un importante controsenso, che ha condotto, senza dubbio fino ai nostri giorni, a nascondere un elemento fondamentale della metafisica cartesiana, e più esattamente della conoscenza cartesiana di Dio. In effetti, quando Descartes scrive illa [idea] per quam summum aliquem Deum, æternum, infinitum, omniscium, omnipotentem, rerumque omnium, quæ præter ipsum sunt, creatorem intelligo, il suo traduttore è forse autorizzato a tradurre [l’idea] per la quale concepisco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, che tutto conosce, onnipotente, e Creatore universale di tutte le cose che sono fuori di lui? 1 1 R. Descartes, Meditazione Terza, in Opere 1637-1649, a cura di G. Belgioioso, testo francese e latino a fonte, Milano, Bompiani, 2009, pp. 733-5 (AT IX, 32, VII, 40). 5