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qui - maria vita romeo

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32 Denis Kambouchner<br />

questo proposito, la principale differenza non si trova forse nella maniera<br />

in cui Tommaso tenta di circoscrivere il modo proprio di questa intelligenza<br />

12 ; essa risiede piuttosto nella persistenza tomista di un dinamismo<br />

della fede – fides quaerens intellectum – che in Descartes non si ritrova a<br />

nessun titolo. Rileggiamo la risposta a Hyperaspistes:<br />

Non ho detto che con la luce della<br />

grazia noi conosciamo chiaramente i misteri stessi della fede (sebbene io non<br />

neghi che ciò si possa fare) ma solamente che noi abbiamo fiducia che bisogna<br />

crederli (nos confidere illis esse credendum).<br />

«Non nego che ciò si possa fare», scrive Descartes, ma è per sottintendere:<br />

come ciò si possa fare, non ne ho esattamente l’idea e d’altronde<br />

non la cerco. A patto che la grazia, che la condiziona, non si ritiri, la fede<br />

cartesiana è una condizione stabile che forse in alcuni sfocia nella conoscenza<br />

chiara dei misteri, ma che non appare costitutivamente orientata<br />

verso questa conoscenza e come un cammino verso di essa.<br />

2) In relazione al problema dell’intelligenza della fede, quest’astensione<br />

non è l’unico segno di disinvoltura che si può rilevare nel presente testo.<br />

Vi è ancora – cosa debitamente notata da Ferdinand Al<strong>qui</strong>é nelle note<br />

della sua edizione – lo strano modo con cui Descartes pretende di mostrare<br />

in modo generale (e non specificatamente a proposito della fede) la<br />

compatibilità fra l’oscurità della materia del credere o del giudizio e la<br />

chiarezza della sua “ragione formale”. In effetti, Descartes sembra ritenere<br />

opportuno garantire questa compatibilità con un altro esempio; e questo<br />

esempio, qual è?<br />

Quando penso che l’oscurità dev’essere tolta dai nostri pensieri per potere dar<br />

loro il nostro consenso senza alcun pericolo di fallire (ciò che è la forma negativa<br />

della regola generale di verità»), è la stessa oscurità che mi serve da materia,<br />

per formulare un giudizio chiaro e distinto.<br />

12 «Succede che si comprenda imperfettamente qualcosa, quando dall’essenza stessa della cosa,<br />

o della verità della proposta, non si sa ciò che essa sia, o come sia, ma si sa solamente che ciò<br />

che appare dall’esterno non si oppone alla verità di ciò che è; l’uomo capisce allora che non deve<br />

allontanarsi dalle verità di fede a causa di quello che vede dall’esterno; in questo senso nulla impedisce,<br />

fin tanto che dura lo statuto di fede, di comprendere anche ciò che, per sé stesso, cade sotto<br />

la fede» (art. 2, resp.).

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