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LAURENCE DEVILLAIRS<br />
Considerazioni sul Dio di Descartes<br />
TRADURRE, TRADIRE. PERSINO L’OPERA recente di Umberto Eco non<br />
può non farci pensare al frequente accostamento che si effettua fra<br />
traduzione e tradimento: «dire quasi la stessa cosa» comporta sempre il rischio<br />
di parlare al di là della cosa.<br />
Le numerose correzioni che apportò al testo latino delle Meditazioni<br />
mostrano a quale punto Descartes fosse scrupoloso sulla scelta dei termini,<br />
come provano particolarmente le Lettere del 4 e del 18 marzo 1641<br />
indirizzate a Mersenne. Se ogni parola conta, si può sperare che ogni parola<br />
della traduzione sia pensata e soppesata. La traduzione delle Meditazioni<br />
del duca di Luynes poteva fare affidamento su un testo iniziale perfettamente<br />
riveduto e corretto.<br />
Tuttavia, su un punto preciso, che a tutta prima potrebbe essere considerato<br />
un dettaglio, noi desidereremmo mostrare che la traduzione è<br />
non soltanto fallace ma che essa opera un importante controsenso, che ha<br />
condotto, senza dubbio fino ai nostri giorni, a nascondere un elemento<br />
fondamentale della metafisica cartesiana, e più esattamente della conoscenza<br />
cartesiana di Dio. In effetti, quando Descartes scrive<br />
illa [idea] per quam summum aliquem Deum, æternum, infinitum, omniscium,<br />
omnipotentem, rerumque omnium, quæ præter ipsum sunt, creatorem intelligo,<br />
il suo traduttore è forse autorizzato a tradurre<br />
[l’idea] per la quale concepisco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, che<br />
tutto conosce, onnipotente, e Creatore universale di tutte le cose che sono fuori<br />
di lui? 1<br />
1 R. Descartes, Meditazione Terza, in Opere 1637-1649, a cura di G. Belgioioso, testo francese<br />
e latino a fonte, Milano, Bompiani, 2009, pp. 733-5 (AT IX, 32, VII, 40).<br />
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