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94 Giuseppe Pezzino pre abbastanza grazia per vivere devotamente nella maniera con cui l’intendono loro. Essendo la loro morale del tutto pagana, la natura basta per osservarla. Quando noi sosteniamo la necessità della grazia efficace, le diamo altre virtù per oggetto. Non è semplicemente per guarire i vizi con altri vizi; non è soltanto per far praticare agli uomini i doveri esteriori della religione: è per una virtù più alta di quella dei farisei e dei maggiori saggi del paganesimo. La legge e la ragione sono grazie sufficienti per questi effetti. Ma per liberare l’anima dall’amore del mondo, per ritrarla da ciò che essa ha di più caro, per farla morire a se stessa, per portarla e affezionarla unicamente ed invariabilmente a Dio, non c’è che l’opera di una mano onnipotente. Ed è tanto poco ragionevole pretendere che se ne ha sempre un pieno potere, quanto lo sarebbe il negare che queste virtù prive dell’amore di Dio, confuse da questi bravi padri con le virtù cristiane, non sono in nostro potere 19 . Gravissima è l’accusa di paganesimo e di fariseismo che Pascal lancia contro il lassismo etico della Compagnia di Gesù. Gravissima accusa, e perché va al cuore del probabilismo lassista, e perché mette a nudo nel giardino del gesuitismo alcune radici teologico-morali poco o punto cristiane, e perché, infine, osa muovere guerra alla più potente istituzione all’interno della Chiesa cattolico-tridentina. Tutto questo ci può aiutare a capire quella certa distante freddezza, se non proprio ostilità antipascaliana e antigiansenista, che in determinati momenti storici affiorerà fra gli intellettuali laici e anche fra quelli cattolici. Senza dubbio, la Chiesa che esce dal Concilio di Trento, e che porta le dolorose mutilazioni della Riforma protestante, vive nel terrore di nuove fratture e di nuove separazioni che il piccolo ma pericoloso sisma giansenista potrebbe procurare. D’altronde, l’ipotesi di una disfatta della Compagnia è certamente inquietante per una Chiesa che ha ripreso vigoria e ha rinsaldato i legami con le diverse realtà socio-politiche, grazie soprattutto ai seguaci di S. Ignazio. Infine, non bisogna trascurare che la Chiesa di Pietro, pur guardando al cielo, da millenni solca il procelloso mare della storia e del mondo, mantenendo una rotta che, con prudenza politica, evita gli scogli degli estremismi e predilige le linee intermedie. D’altra parte, una certa intelligencija laica, pur avendo spesso giudicato il fenomeno religioso con la semplicistica categoria della “impostura” o 19 Quinta lettera, pp. 93-5.
del “prete impostore”, ha però trattato con una certa indulgenza gli indulgenti gesuiti, mentre ha guardato con sufficienza e irridente diffidenza all’«ipocondriaco» Pascal e ai giansenisti, perché essi odorano di ascetismo, di astratto rigorismo morale, di disprezzo per i valori del mondo e, ancor peggio, di disprezzo per i valori del mondo moderno. Sicché, secondo certi schemi, la modernità e l’avvenire avanzano sul cocchio della Riforma protestante, mentre nelle chiese della Controriforma giacciono le carcasse del passato e del conservatorismo. Se poi gli schemi vengono trasferiti all’interno della Chiesa tridentina del Seicento, allora la modernità galoppa a spron battuto sul destriero della Compagnia di Gesù, mentre il vecchiume medievale impazza fra i giansenisti. Ma, – si potrebbe osservare – qualcuno disse che i giansenisti non sono altro che i cugini dei calvinisti, e quindi anche i giansenisti hanno un qualche merito nella nascita della coscienza moderna. No, non ce l’hanno; perché i giansenisti, pur essendo cugini dei calvinisti, sono malaugura- Etica e politica nelle «Provinciali» 95 Ignazio di Loyola tamente dei pervicaci antigesuiti, e quindi degli irredimibili antimoderni. Di fronte alle Provinciali, quella certa intelligencija ha dovuto cavar fuori a denti stretti un bel riconoscimento per il valore letterario del capolavoro pascaliano, ma, ricomponendosi e dominandosi subito dopo, ha profuso una serie di riserve e di critiche nei confronti di un’opera troppo vicina ai giansenisti: uomini, costoro, che sono da condannare, perché rappresentano la quintessenza degli intellettuali schematici, dottrinari isolati dalla società e dai potenti, estremisti affetti da infantilismo politico, e perciò in guerra con i gesuiti, i quali risultano invece più vicini e più affiatati ad una certa modernità, per la loro flessibilità morale, per la loro spregiudicatezza politica, per quel loro dolce gusto della vita e per quella loro indulgente visione della natura umana, che offre il Paradiso a distanza ravvicinata e alla portata di tutti coloro che hanno un pizzico di savoir vivre al cospetto di Dio e nei riguardi degli uomini.
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