qui - maria vita romeo
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34 Denis Kambouchner<br />
Il problema – noi lo percepiamo bene – risiede <strong>qui</strong> nella distinzione<br />
possibile fra due modi di credere, che potremmo chiamare, da una parte,<br />
la credenza di sottomissione, e, dall’altra, la credenza di assimilazione. La<br />
prima presuppone una confessione o professione di fede, ma è caratterizzata<br />
dalla volontà di non rimettere in causa quello stesso che è ricevuto, e,<br />
a questo proposito, essa si definisce in qualche maniera negativamente.<br />
Nella seconda, al contrario, il contenuto della credenza diventa in sé stesso<br />
un oggetto di meditazione, da parte di una mente che cerca di penetrare<br />
sempre di più. La questione è allora<br />
quella di sapere a quale dei due<br />
modi di credenza Descartes si riferisca,<br />
o almeno – se rimane difficile rispondere<br />
a questa prima forma della questione<br />
– il problema sarà quello di sapere<br />
quale dei due modi (sottomissione<br />
o assimilazione) sia più propriamente<br />
cartesiano.<br />
Per concedersi una possibilità di<br />
risposta all’una o all’altra forma della<br />
questione, mi sembra che convenga<br />
seguire il filo delle dichiarazioni cartesiane<br />
sulla grazia.<br />
Innanzi tutto, non vi è alcun dubbio<br />
che la fede sia una grazia e che<br />
questa grazia debba manifestarsi come<br />
tale in modo perfettamente riconoscibile;<br />
tant’è vero che, come sottolinea<br />
ancora il testo delle Seconda Risposta,<br />
un infedele che fosse stato indotto ad aderire a un dogma cristiano solo<br />
con falsi ragionamenti non avrebbe per questo la fede cristiana, e bisognerebbe<br />
dire piuttosto di lui che pecca, non servendosi come si deve della<br />
sua ragione (AT VII,148, 19-25; IX, 116).<br />
A tal proposito, è certo che lo stesso Descartes si è presentato come il<br />
soggetto di una certa grazia: prova ne sia la formula del Discorso sul Metodo,<br />
che iscrive al primo posto delle regole della «morale provvisoria» la