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qui - maria vita romeo

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conservazione della «religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere<br />

istruito sin dall’infanzia» (AT VI, 23). La questione è tuttavia quella<br />

di sapere quale sia il risultato di questa grazia di cui Descartes si riconosce<br />

beneficiario, nei termini del modo di credere.<br />

A tal proposito abbiamo innanzi tutto, nella lettera a Hyperaspistes<br />

dell’agosto 1641, quest’osservazione supplementare:<br />

E nessuno può trovare strano, se ha veramente la fede cattolica, che non sia evidentissimo<br />

(evidentissimum) che bisogna credere alle cose che Dio ha rivelato, e<br />

che bisogna preferire il lume della grazia a quello della natura 13 .<br />

Ma <strong>qui</strong>, come in ciò che immediatamente precede, la credenza è posta<br />

all’imperativo, cosa che non ci informa sul suo ordinamento in quanto<br />

credenza attuale.<br />

A proposito del rapporto fra il lume della grazia e quello della natura,<br />

si consulterà in compenso con profitto la lettera di Huygens del 10 ottobre<br />

1642 (AT III 578), lettera che Cherselier, primo editore della corrispondenza<br />

di Descartes, aveva pensato bene di correggere su parecchi<br />

punti.<br />

Si tratta di una lettera consolatoria, in cui Descartes dice di avere trovato<br />

nella considerazione della natura delle nostre anime, quale la sua filosofia<br />

l’ha coltivata, «un rimedio molto potente, non soltanto per farmi<br />

sopportare la morte di quelli che amavo» (e di fatto aveva perduto uno<br />

dopo l’altro, due anni prima, sua figlia Francine e suo padre Joachim),<br />

«ma anche per impedirmi di temere la mia, nonostante io sia nel novero<br />

di coloro che amano di più la <strong>vita</strong>». E aggiunge:<br />

Sebbene la religione c’insegni molte cose sull’argomento (vale a dire: dell’altra<br />

<strong>vita</strong>), riconosco tuttavia in me un’infermità che è, mi sembra, comune alla maggior<br />

parte degli uomini, cioè, qualunque cosa vogliamo credere e anche che<br />

pensiamo di credere fortemente e fermamente tutto quello che la religione c’insegna,<br />

noi non abbiamo tuttavia l’abitudine di esserne talmente colpiti se non<br />

da ciò di cui siamo persuasi da ragioni naturali evidentissime.<br />

Clerselier così correggeva:<br />

13 AT III, 426, 5-9.<br />

Descartes e il problema della fede 35

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