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qui - maria vita romeo

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Descartes e il problema della fede 33<br />

Possiamo prendere l’oscurità come oggetto del nostro pensiero (oggetto<br />

negativo all’occorrenza), e portare sull’oscurità un giudizio chiaro e<br />

distinto: benissimo! Ma il paragone con la fede è falso; poiché, quando riflettiamo<br />

sull’oscurità e sulla maniera di escluderla dal nostro pensiero, il<br />

nostro stesso pensiero non è oscuro (la nozione stessa di oscurità non è<br />

oscura), come esso lo rimane necessariamente quando prende per oggetti<br />

gli articoli di fede. A titolo generale – e sottolineo a titolo generale – non<br />

sembra dunque che questa compatibilità fra la chiarezza della ragione formale<br />

e l’oscurità della materia sia essa stessa la cosa più chiara del mondo.<br />

E se ci si riferisce all’inizio del testo, vi si troverà dalla parte di Descartes<br />

un altro segno di disagio. Rispondendo ai timori espressi dagli autori o<br />

piuttosto dall’autore delle Seconde Obiezioni (Mersenne), timori relativi<br />

alle conseguenze dell’ammissione della regola generale di verità, Descartes<br />

scrive:<br />

Mi meraviglio che voi neghiate che la volontà rischi di fallire quand’essa persegue<br />

e abbraccia le conoscenze oscure e confuse dell’intelletto; giacché chi può<br />

renderla certa (la volontà), se ciò che essa segue (id quod sectatur) non è chiaramente<br />

conosciuto? E qual è quel filosofo o teologo, o semplicemente l’uomo<br />

che usa la ragione, che non abbia confessato (non confessus est) che noi corriamo<br />

tanto meno pericoli di sbagliare quando noi comprendiamo (intelligimus) più<br />

chiaramente qualcosa, prima di assentire, e che questi peccano<br />

poiché portano giudizi per ignoranza di causa (causa ignota)? (AT VII, 147).<br />

Ad una prima lettura, questo testo sembra accordare un privilegio<br />

schiacciante alla conoscenza di pura ragione, quella che è integralmente<br />

chiara e distinta. E certo, ad una seconda lettura, si distingue bene quello<br />

che <strong>qui</strong> viene a legittimare l’adesione alla fede, dato che, perché il giudizio<br />

sia legittimo, bisogna che la sua “causa” sia chiaramente concepita<br />

(piuttosto che il suo oggetto) – la sua “causa”, altrimenti detta la sua “ragione<br />

formale”, che è propriamente ciò che la volontà segue. Ma se, come<br />

sarà sottolineato, basta che questa ragione formale sia chiara perché il giudizio<br />

sia valido, rimane che la chiarezza della ragione formale non appare<br />

<strong>qui</strong> subito come il principio della più alta certezza, che si troverà sempre<br />

nella percezione chiara dell’oggetto.<br />

Ritorniamo adesso al nostro problema centrale: la chiara coscienza<br />

della necessità di credere è essa credenza in senso assoluto?

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