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Bollettino Roncioniano - PO-Net Rete Civica di Prato

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24 Corrado Vivanti<br />

E, rivolto ai governanti fiorentini, proseguiva con fredda determinazione:<br />

«Voi della iustitia ne avete non molta, et delle armi non punto». Al<br />

contrario, osservava nei Discorsi, «dove è buona milizia, conviene che sia<br />

buono or<strong>di</strong>ne, e rade volte occorre che non vi sia buona fortuna».<br />

Sebbene critico verso le «armi» della Francia, esprimeva la sua ammirazione<br />

per le leggi che la governavano e che la ponevano «in tra’ regni<br />

bene or<strong>di</strong>nati e governati a’ tempi nostri» (Pr. XIX). E l’esempio francese<br />

ritornava nel capitolo dei Discorsi menzionato da Dotti (I. 58), in cui affermava<br />

che «<strong>di</strong> quello <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> che accusano gli scrittori la moltitu<strong>di</strong>ne,<br />

se ne possono accusare tutti gli uomini particularmente e massime i principi;<br />

perché ciascuno che non sia regolato dalle leggi farebbe quelli medesimi<br />

errori che la moltitu<strong>di</strong>ne sciolta», e citava appunto, a tale proposito,<br />

la Francia, «il quale regno è moderato più dalle leggi che alcuno altro<br />

regno <strong>di</strong> che ne’ nostri tempi si abbia notizia». Si rendeva conto Machiavelli<br />

che in Italia vi era un prevalere dell’interesse privato su quello pubblico<br />

e un frammentarsi della società incorpi e consorterie che facevano<br />

nascere conflitti d’interesse fra i loro privilegi − o come allora si <strong>di</strong>ceva, le<br />

loro “libertà” − eleesigenze <strong>di</strong> uno Stato nuovo. Firenze era, per questo<br />

aspetto, un campione eloquente, dove gli or<strong>di</strong>namenti erano emanati in<br />

funzione dei gruppi <strong>di</strong> potere, ed il ius proprium era un valido strumento<br />

per le particolari esigenze dei privati. Così, la lotta politica presentava una<br />

drammatica peculiarità, icasticamente illustrata da Machiavelli in apertura<br />

al terzo libro delle Istorie fiorentine con la contrapposizione fra Roma e Firenze.<br />

Mentre nella città dalui considerata come modello, le lotte civili,<br />

fino ai tempi dei Gracchi, si erano concluse con accor<strong>di</strong> fra le parti, che<br />

arricchivano la <strong>di</strong>alettica istituzionale del suo or<strong>di</strong>namento, a Firenze la<br />

limitatezza dei pubblici poteri faceva prevalere gli interessi della parte<br />

vincente. Per questo non vi erano avversari, ma soltanto nemici, che come<br />

tali andavano eliminati, e le lotte intestine si concludevano sempre<br />

con sangue ed esilî.<br />

Giustamente Dotti rileva come, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri intellettuali, Machiavelli<br />

non nutrisse alcuna nostalgia per il passato, e rifuggisse quin<strong>di</strong><br />

dall’idealizzare il governo <strong>di</strong> Lorenzo il Magnifico, come pure il nuovo<br />

idolo che gli ottimati fiorentini allora celebravano, la repubblica <strong>di</strong> Venezia.<br />

Di questa condannava invece sia la costituzione, volta a impe<strong>di</strong>re<br />

ogni <strong>di</strong>alettica interna, sia la mancanza <strong>di</strong> forza militare propria: insomma,<br />

come aveva detto per Firenze, «iustitia et armi». Il suo ideale, il suo<br />

obiettivo era quello − riprendo le parole <strong>di</strong> Dotti − «<strong>di</strong> fondare uno Stato<br />

forte, giuri<strong>di</strong>camente or<strong>di</strong>nato e militarmente efficiente... L’esame dell’antico<br />

modello <strong>di</strong> Roma − qui della sua democrazia ‘tumultuaria’ − si

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