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Bollettino Roncioniano - PO-Net Rete Civica di Prato

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Una visita al monastero <strong>di</strong> San Vincenzo Ferreri in <strong>Prato</strong> 53<br />

La cappella del Crocifisso e la cella del Transito <strong>di</strong> S. Caterina: tra i reliquiari collezionati<br />

dalla Santa per la sua piccola “Roma”, si avverte la presenza della Passione<br />

come rovello amoroso<br />

Al primo piano delle celle invaso dall’aria svagatissima del maggio, è<br />

il centro nascosto <strong>di</strong> quell’itinerario mentale <strong>di</strong> Caterina nella Passione <strong>di</strong><br />

Cristo, che fu da lei intesa come soccorso prestato alla creatura umana, e<br />

che sbocciò infine in tutto il suo corpo con la manifestazione delle piaghe<br />

<strong>di</strong>vine. In mezzo a una grata in legno, che richiama i coretti spinosi e labirintici<br />

della chiesa settecentesca, si trova un “Crocifisso” che si <strong>di</strong>rebbe<br />

convenzionale, <strong>di</strong> una struttura acerba e priva <strong>di</strong> grazia. È quello che, secondo<br />

la tra<strong>di</strong>zione, apparve alla santa in atto <strong>di</strong> staccarsi dal legno e “venirsene<br />

verso <strong>di</strong> lei, coi chio<strong>di</strong> fitti nelle mani e nei pie<strong>di</strong> e sotto <strong>di</strong> un<br />

sottil velo che gli stava davanti” (come si legge nella narrazione della “Vita<br />

<strong>di</strong> S. Caterina de’ Ricci” <strong>di</strong> Serafino Razzi, confessore del monastero).<br />

È <strong>di</strong>fficile riconoscere la provenienza dell’opera; ma si può ragionevolmente<br />

fare l’ipotesi che essa, scolpita da un artigiano fiorentino sensibile<br />

all’arte <strong>di</strong> Pagno <strong>di</strong> Lapo Portigiani, già collaboratore <strong>di</strong> Donatello<br />

per il pulpito del Duomo, sia stata donata alla comunità dauna delle nove<br />

giovani che ebbero da Giulio II l’autorizzazione a fondare il monastero <strong>di</strong><br />

S. Vincenzo Ferreri, e che vestirono l’abito del Terz’Or<strong>di</strong>ne regolare <strong>di</strong><br />

S. Domenico il 29 agosto 1503 (com’è fatale e strana quella data del 29<br />

agosto!). La santa fu colpita da quel profilo chiuso nella rassegnazione,<br />

con le palpebre strette dolcemente agli zigomi, e con la fessura delle labbra<br />

in cui alla sofferenza subentra l’immobilità senza ritorno. Certo Alessandrina<br />

de’ Ricci, <strong>di</strong>ventata suor Caterina il 18 maggio 1535, quando<br />

venne eletta priora del convento, intese piantare nel monastero un luogo<br />

che riflettesse le reliquie della Passione <strong>di</strong> Cristo e del suo pre<strong>di</strong>catore sulla<br />

terra, Girolamo Savonarola, del cui martirio provvidenzialmente le<br />

monache <strong>di</strong> S. Vincenzo avevano riportato le insegne da Firenze (un <strong>di</strong>to<br />

del pre<strong>di</strong>catore, ed il collare <strong>di</strong> ferro a cui il capo <strong>di</strong> Girolamo era stato<br />

sospeso sopra le fiamme del rogo).<br />

Di notte spesso Caterina si alzava a pregare e interrogare il silenzio<br />

mite <strong>di</strong> quel Crocifisso; eppure, le dovette apparire ancor più decisiva nella<br />

fantasia un’immagine <strong>di</strong> “Ecce Homo”, che per qualche ragione è oggi<br />

collocata nella cella dove essa morì. Si tratta <strong>di</strong> una tela <strong>di</strong> gusto oltremontano,<br />

databile alla fine del Quattrocento, <strong>di</strong> un autore <strong>di</strong> passaggio o anche<br />

<strong>di</strong> una suora, un’icona piangente, che forse lasciò un’impronta nel pittore<br />

pratese Girolamo Ristori. Essa è intenzionalmente emotiva, e nell’ombra<br />

della sera, con il suo manto scanalato in riflessi <strong>di</strong> rubino e la derisoria, fittissima<br />

corona <strong>di</strong> spine, doveva fare a chiunque un’impressione <strong>di</strong> amarez-

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