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Bollettino Roncioniano - PO-Net Rete Civica di Prato

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Una visita al monastero <strong>di</strong> San Vincenzo Ferreri in <strong>Prato</strong> 55<br />

Gli scomparti segreti della cappella della Madonna dei Papalini<br />

Il vano della Madonna dei Papalini, protetto da una <strong>di</strong>lettosa pergola<br />

<strong>di</strong> rosoncini seicenteschi su fondo azzurro, si collega ad un antico parlatorio;<br />

ma sotto il palco <strong>di</strong> legno che sostiene l’immagine si trova il ricetto<br />

in cui, fino alla traslazione del 1735, era conservato il corpo della Santa.<br />

Questo poteva essere visto anche dai visitatori; bastava aprire due sportelli,<br />

che si trovano ancora in loco, e che richiusi fanno ammirare una scena<br />

<strong>di</strong> francescana beatitu<strong>di</strong>ne, “La Vergine che porge a Caterina il Bambino<br />

Gesù”.Lavisione degli affetti è però accompagnata sui lati da testimonianze<br />

storiche, poiché lasantità hamesso ra<strong>di</strong>ci nel cuore della storia,<br />

delle sue tirannie e dei suoi riscatti insperati: ed ecco a sinistra compaiono<br />

i tre capitani spagnoli venuti a saccheggiare il convento il 30 agosto 1512,<br />

Giovanni, Vincenzo e Spinoso, assatanati e beffar<strong>di</strong>, e sul canto destro le<br />

monache supplicanti.<br />

Gli sportelli con la “Santa che adora il Bambino”, <strong>di</strong>pinti dal pratese<br />

Stefano Parenti, si riferiscono al clima della veglia cristiana in ambiente<br />

tacito e spoglio, che ebbe <strong>di</strong>ffusione con gli in<strong>di</strong>rizzi estetici e morali degli<br />

amici <strong>di</strong> San Carlo Borromeo. L’artista dunque si propose <strong>di</strong> interpretare<br />

il nuovo carattere che sarebbe piaciuto alla santa, <strong>di</strong> un miracolo che<br />

è approssimazione ai gesti puri e quoti<strong>di</strong>ani, senza scalpore. A confronto,<br />

sopra la chiusura stessa della cappella, il grande quadro con la “Madonna<br />

che appare a San Giacinto” (Santi <strong>di</strong> Tito, 1595) è certo più scaltro ed è<br />

tutto il mondo, ma conosciuta da Lui soltanto». Terribile a volte, ma inevitabile era per lei l’apparizione<br />

della Croce, anche quando passeggiava per l’orto, e doveva fuggire da cappelle e calvari,<br />

per l’orrore <strong>di</strong> aver visto non solo le sofferenze, ma proprio le torture e le slogature inflitte<br />

al Cristo crocifisso, «livido e stracciato insino alle ossa e tutto sanguinoso».<br />

Veniva a consolarla, e dolcemente la rimproverava, il consigliere <strong>di</strong> ogni sua pena, il padre<br />

Gerolamo Savonarola. Su quel <strong>di</strong>alogo familiare, che fa quasi da contrappunto a quello notturno<br />

ed estatico, in cui era quasi precipitata e abbacinata, ci trattiene il narratore del Libellus de Gestis,<br />

fra’ Niccolò Alessi. «Io non posso più − <strong>di</strong>ce Caterina −, eviprego che voi (ma si riferisce alle<br />

reliquie del martire Gerolamo) mi leviate presto questo duolo, perché ionon lo posso più sopportare».<br />

Ed ecco che ella sente il frate che la motteggia: «Orsù, leziosina nostra, va e piglia una<br />

foglia <strong>di</strong> ruchetta, e mettetevela e basta». Come <strong>di</strong>re che non stesse a intronarlo così spesso, e che<br />

gridasse a lui, come già aveva fatto con buon esito, soltanto se afflitta da morbi pericolosi per il<br />

convento, come quando l’invocazione al frate l’aveva guarita dal vaiolo.<br />

Peraltro, attraverso i miracoli (l’incen<strong>di</strong>o scongiurato del convento, il profumo che dovunque<br />

Caterina spargeva, anche in celle <strong>di</strong> monache incredule e lontane, anche nei pressi <strong>di</strong><br />

luoghi putri<strong>di</strong>), si sente che la minaccia profetica è uncostante mezzo <strong>di</strong> alacrità, per non poltrire<br />

nella lusinga <strong>di</strong> una pace transeunte, come le rammentava fra Gerolamo: «E <strong>di</strong>sse che le<br />

suore fossero avvisate; che si rinnovassero nel viver loro, perché presto verrebbero e si vedrebbero<br />

le tribolazioni predette». Per questi cenacoli domenicani Dio fu spesso una fonte <strong>di</strong> misteriosi<br />

eccessi dell’intelletto, ma anche un avviso combattente contro gli inganni, un Giu<strong>di</strong>ce supremo;<br />

anche i donieicarismi concessi erano pur sempre delle armi, per <strong>di</strong>mostrare la necessità<br />

della conversione dei cuori.

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