50 Sergio Nannicini
Una visita al monastero <strong>di</strong> San Vincenzo Ferreri in <strong>Prato</strong> 51 quello della meraviglia ricchissima <strong>di</strong> effetti, che si aprono d’un tratto, mentre si varca una scatola muraria <strong>di</strong>sadorna e quasi grossolana. Alcuni accostano il progetto a un’idea <strong>di</strong> Giovan Battista Foggini, che però, intervenendo, si sarebbe limitato a rendere più corpose le pareti laterali; altri, con maggior verità, citano colui che forgiò l’altare della Santa, Girolamo Ticciati, e Giovan Battista Bettini, che operò anche nel San Niccolò <strong>di</strong>Vernio. Di quest’ultimo autore dev’essere il suggerimento <strong>di</strong> creare una me<strong>di</strong>azione a chiaroscuro, al primo entrare in uno scrigno così seducente, ma scarso <strong>di</strong> apparizioni spaziali, con un ambulacro che filtra la magia degli altari me<strong>di</strong>ante una serliana; al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> essa è lamostra <strong>di</strong> un finto organo, da cui si <strong>di</strong>rama il sistema germinante e decorativo delle pareti 1 . Bisogna purtroppo riconoscere che la soluzione manca <strong>di</strong> un riscontro luministico sulla sponda opposta, dove l’altar maggiore onusto <strong>di</strong> marmi è sì movimentato, “eroicizzato” si <strong>di</strong>rebbe, da curve e controcurve che <strong>di</strong>latano il nicchione absidale, ma senza invenzione <strong>di</strong> tempi e <strong>di</strong> spazi incrociati. Perciò anche la pala con S. Caterina che abbraccia il Crocifisso, che è il fulcro teatrale dell’opera, resta nei limiti <strong>di</strong> una concrezione magnifica, ma come schiacciata nella cornice dell’ancona. Solo delle fonti <strong>di</strong> irraggiamento nascoste e versate per obliquo, come avviene nell’“Estasi <strong>di</strong> Santa Teresa” scolpita dal Bernini, avrebbero giustificato il miracolo, facendolo fluttuare. In questo modo, invece, pur contenendo un or<strong>di</strong>gno scultoreo <strong>di</strong> continuo aguzzato, in specie con la spartizione a più centri 1 La mostra dell’organo che si apre verso l’interno della chiesa pubblica, ornata con bella cuspide <strong>di</strong> canne <strong>di</strong> gusto quasi gotico, in realtà èsolo decorativa; il vero strumento è come una reliquia portatile con maniglie laterali in legno argentato, come fosse una portantina all’interno del coro delle monache; vi si accede dal confinante “Pensionato delle Giovani Operaie”. È illuminato dal fiotto della prima finestra orientale, che dalla nave resta invisibile; ha mantici originali e pesi per la calibratura dell’aria. Il suo carattere vero, che potrebbe essere recuperato con una spesa contenuta, è quello dell’origine me<strong>di</strong>cea, risalente alla fine del Seicento (esiste una tastiera identica nelle collezioni granducali); la prima idea risale comunque ad Antonio Squarcialupi, che in Santa Maria del Fiore, intorno al 1460, volle l’aggiunta al più antico organo «in cornu Evangelii» <strong>di</strong> due gran<strong>di</strong> canne laterali <strong>di</strong> stagno per accenti gravissimi in contrabbasso, a sostegno dell’e<strong>di</strong>ficio armonico nelle «più importanti note <strong>di</strong> risoluzione finali della modalità ecclesiastica», o per ottenere impressioni speciali <strong>di</strong> tamburo. Lo strumento <strong>di</strong> S. Vincenzo ha degli accenti simili; è uno splen<strong>di</strong>do “positivo” con le caratterizzanti canne lunghe, che serrano la mostra agli spigoli ed emettono suoni molto gravi e potenti, che sono come un marchio <strong>di</strong> fabbrica. È adatto per concerti da camera, ma vi si potrebbero eseguire brani <strong>di</strong> Frescobal<strong>di</strong>, <strong>di</strong> Scarlatti (leggi in proposito lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Gabriele Giacomelli su Antonio Squarcialupi e la tra<strong>di</strong>zione organaria in Toscana, Roma, Torre d’Orfeo, 1992).