48 Sergio Nannicini
Una visita al monastero <strong>di</strong> San Vincenzo Ferreri in <strong>Prato</strong> 49 dendo e stuprando, assetate <strong>di</strong> tormenti e <strong>di</strong> guadagni. Ora l’immagine, che è interracotta policromata, con abito ricamato in seta del Settecento, si trova in una cappella che forma l’accesso al grande coro, e con il suo sguardo <strong>di</strong> supplica (ma in origine faceva parte <strong>di</strong> un Presepio) suscita un contrasto in<strong>di</strong>menticabile con la severa intonazione dei 120 stalli che si succedono al <strong>di</strong> là della soglia, fino al Crocifisso in cui si sono appena estinte le lacrime. In realtà ilsimulacro della Madonna si trovava allora in una cappella prossima al primo impianto del dormitorio, in un ambiente angusto, non tale da promettere quegli spazi <strong>di</strong> saccheggio che al contrario, anche per fame e spionaggio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>tori, erano in<strong>di</strong>cati nei campi vicini del San Niccolò o nelle gran<strong>di</strong> provvisioni pertinenti al Ceppo nuovo ed all’Ospedale della Misericor<strong>di</strong>a. Fatto sta che l’atteggiamento invocatore <strong>di</strong> questa Vergine, e la regalità del volto, non raffinato certo, ma in atto <strong>di</strong> imporre silenzio, fecero impressione ai capitani spagnoli, che desistettero, ed anzi misero agli angoli del fabbricato le loro ban<strong>di</strong>ere, a <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> un luogo protetto e inviolabile. Forse, se si fosse trattato <strong>di</strong> vera e propria soldataglia, il miracolo, che richiede intelligenza del cuore, non si sarebbe manifestato. I rilievi scultorei della chiesa e l’altare celebrativo della visione <strong>di</strong> Santa Caterina de’ Ricci Gli storici che hanno recentemente recuperato i valori <strong>di</strong> eleganza quasi decadente che il barocco delle architetture fiorentine del Settecento creò nella nuova basilica con minutissimo <strong>di</strong>segno (in proposito leggi, <strong>di</strong> Silvestro Bardazzi ed Eugenio Castellani, “Il Monastero <strong>di</strong> S. Vincenzo in <strong>Prato</strong>”, ma anche il commento <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Cerretelli nel perspicuo capitolo sugli “E<strong>di</strong>fici sacri”, contenuto nel volume sul “Settecento a <strong>Prato</strong>”, 1999), ammettono tutti che il senso vero del nuovo e<strong>di</strong>ficio consacrato nel 1735 è già contenuto in una richiesta che le monache inviarono al vescovo Alamanni, nell’agosto del 1733, per poter visitare la chiesa a porte chiuse. Fra l’altro vi si riconosceva che essa “era stata ridotta in una forma veramente elegante... me<strong>di</strong>ante i vaghi ornamenti nuovamente fatti”. In realtà, nel territorio <strong>di</strong> <strong>Prato</strong>, se si eccettuano la Galleria collegata all’Oratorio <strong>di</strong> San Niccolò inVernio, l’interno del Sant’Antonio Abate nella villa Vai <strong>di</strong> Vaiano, e lo straor<strong>di</strong>nario altare della Cintola nel duomo <strong>di</strong> <strong>Prato</strong>, non esistono invenzioni luministiche <strong>di</strong> architettura barocca. Anche il San Vincenzo rinvia al concetto spurio, se pur affascinante, dell’interpenetrazione dei materiali in ambito settecentesco, che è