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Oltre l'austerità - Cesaratto - cambiailmondo

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<strong>Oltre</strong> l’austerità 20 MicroMegaSi potrebbe dire che questi economisti ignorano (almeno nel senso che direttamenteo indirettamente negano) che “la spesa di uno è il reddito di un altro”, come Keynes invecenon si stancava di ripetere di fronte agli sfaceli dei primi anni trenta. Per Keynes “questa èla verità generale, da non dimenticare mai”. Che la spesa di uno sia il reddito di un altronessuno forse negherebbe direttamente, ma nonostante ciò la conseguenza principale diquesta verità – cioè che tagliando una spesa si taglia anche un reddito e quindi di per sé cisi impoverisce, e che questo porterà ad una spirale di ulteriori tagli di spesa e di reddito –viene negata da chiunque veda in provvedimenti di austerità (“disciplina macro”) ilrimedio ad una crisi come quella in cui ci troviamo. L’idea che sta alla base di questanegazione è come sempre che il livello del reddito (e parallelamente quello della domandacomplessiva) sia in qualche modo e per qualche ragione dato, e che al taglio del reddito (equindi della domanda) di uno corrisponderà – per la miracolosa azione di qualche “manoinvisibile” – l’aumento del reddito (e quindi della domanda) di qualcun altro.Ai predicatori di economie in tempi di disoccupazione Keynes chiedeva se maiqualcuno, per il fatto di essere “in cattive acque” perché disoccupato, economizzerebbe suciò che egli fa per se stesso, smettendo di farsi la barba o di pulire la propria casa perché“non se lo può permettere” per via del fatto che è disoccupato. Ovviamente quel“risparmio” sarebbe un’idiozia, eppure questa idiozia è proprio quello che una comunitàconsiderata nel suo complesso fa, quando, in condizioni di disoccupazione, economizza subeni e servizi prodotti dai suoi membri per i suoi membri.E’ innegabile che queste considerazioni di buon senso non sono chiare a tutti, specieagli economisti, e si susseguono dichiarazioni (in primis da parte del nostro governo) chela crescita è importante, ma che la politica di austerità non deve in nessun modoammorbidirsi, e che comunque la crescita (invocata ormai da tutti, perché il paese rischia ilcollasso) non la si cercherà con “vecchie politiche keynesiane” – cioè con adeguati stimolialla spesa (privata o pubblica che sia) – ma con “riforme strutturali”, cioè aumento dellaflessibilità, indebolimento delle difese dei lavoratori, ecc. (“concorrenza micro” per dirlacon Monti) – cioè in ultima analisi essenzialmente con riduzioni dei salari, pertanto conulteriori riduzioni di redditi e quindi di spesa.Quale è dunque l’origine della “forza” di considerazioni che suonano come laripetizione di tutte le assurdità dette da politici ed economisti di fronte alla crisi degli annitrenta? Naturalmente due elementi sono sempre presenti nell’influenzare le posizioni suproblemi economici: uno è il fatto che non abbiamo tutti gli stessi interessi, nonostante glisforzi degli economisti per negare questa semplice verità. La disoccupazione, pur deprecata

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