Raccolta opere del concorso - La scuola possibile
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Visto da vicino…<br />
raccont Abile<br />
manifesta bisogno d’aiuto o di un minimo di comprensione. Tutto ciò che non<br />
classifichiamo come “normale” ci spaventa, sembra mettere in dubbio ciò che<br />
siamo, chi siamo, ed è dunque consuetudine emarginare, tenere lontano, distanziarsi<br />
per non capire, comprendere, rispettare. E’ triste pensare di essere costretti<br />
a vivere in una società in cui è necessaria la negazione <strong>del</strong> diverso, il suo<br />
rifiuto per poter imporre se stessi, per poter sperimentare il proprio dominio,<br />
venuto da niente, in uno spazio esiguo, su una terra in prestito, in un tempo che<br />
già tra un istante sarà solo ricordo. E’ notte ancora per molti. Per molti sarà<br />
notte a lungo, per tutti quei re di false illusioni. Ancora pioggia. Rumore vago,<br />
un lampo. <strong>La</strong> luce nel cielo notturno risveglia il giorno per pochi secondi nella<br />
stanza lampo. <strong>La</strong> luce nel cielo notturno risveglia il giorno per pochi secondi<br />
nella stanza scura, gli occhi già aperti, ora potrebbero chiudersi per non guardare,<br />
continuando il sonno <strong>del</strong>la coscienza, o decidere di rimanere aperti, per<br />
voler vederci chiaro. Io anche un tempo mi ritrovai solo, nella stanza <strong>del</strong>l’oblio,<br />
dove prima o poi, tutti sono costretti a trovarsi. Da lì solo nasce la vera distinzione<br />
valida tra uomo e uomo: chi chiude gli occhi e chi no. Ammetto che all’inizio<br />
non avrei voluto farlo, ma sentivo che c’era qualcosa che avrei dovuto<br />
vedere, c’era qualcosa che mi spingeva a ribellarmi da quella che sta diventando<br />
una legge sociale; aprii gli occhi, decisi di dare il mio contributo piccolo,<br />
infinitamente piccolo di uomo fra gli uomini. <strong>La</strong> vista <strong>del</strong>la luce <strong>del</strong> lampo rese<br />
alla mia vista insopportabile il buio, così mi alzai in piedi e aprii la finestra. Nel<br />
frattempo per me, divenne finalmente giorno. Non si aprì solo la mia stanza alla<br />
luce, ma un mondo intero si aprì ai miei occhi. Non avrei più potuto rifiutare<br />
la vita, la libertà; per poterlo fare, avrei dovuto riconoscere la mia pari a quella<br />
degli altri. Solo in quel momento, per la prima volta, ho pensato all’altro come<br />
a me stesso. Non avrei mai voluto trovarmi nei panni di chi, nella trascorsa<br />
notte di pioggia era passato per le strade; mai e poi mai avrei voluto, senza meta<br />
e senza considerazione, camminare su terre bruciate, costeggiate da ampi palazzi<br />
con finestre serrate, succubi <strong>del</strong>la pioggia, eppur sorde al suo continuo<br />
bussare sulle imposte. No, non avrei mai voluto, eppure, per un po’, ho permesso<br />
che fosse <strong>possibile</strong>. Era un quartiere tranquillo il mio, tranquillo sì, ma<br />
non bello; ognuno ne attribuiva la tranquillità alla chiusura in se stessi degli<br />
abitanti, da tutti chiamata riservatezza, da me omertà. “Ognuno per sé, Dio<br />
per tutti”, il motto che più amavamo, la legge imperante; solo ora rifletto; solo<br />
ora mi chiedo con quale coraggio abbiano potuto appellarsi ad un Dio, universale,<br />
tanto grande da abbracciare tutto e tutti, quando per loro il tutto era<br />
ciò che chiaramente sembrava assomigliarsi. Le facciate dei palazzi, i portoni,<br />
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