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Sardegna Economica, N. 1/2011 - Università degli studi di Cagliari.

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European Union<br />

18 aprile 1951 la firma del Trattato per la costituzione della Comunità del carbone e dell’acciaio<br />

fornire energia ai nuovi impianti industriali<br />

promossi dalle leggi regionali d’incentivazione,<br />

da <strong>di</strong>stribuire attraverso una<br />

propria società (l’AGES) rompendo così il<br />

monopolio della SES.<br />

Intanto, nello scenario politico internazionale,<br />

erano spuntate molte novità. La prima,<br />

che avrà notevole importan-<br />

za per le sorti delle miniere<br />

carbonifere, sarebbe stata<br />

la costituzione – fra Belgio,<br />

Francia, Germania Ovest ed<br />

Italia – della Comunità europea<br />

del carbone e dell’acciaio,<br />

in acronimo CECA, che sarà poi l’antesignana<br />

dell’attuale Unione Europea.<br />

Era – ricor<strong>di</strong>amolo – il 18 aprile del 1951, e<br />

con la sua entrata in vigore venne istituito<br />

un mercato comune del carbone e dell’acciaio<br />

con la soppressione dei <strong>di</strong>ritti doganali<br />

e le restrizione nell’import fra i quattro paesi<br />

firmatari. L’apertura del libero mercato per il<br />

carbone avverrà il 18 febbraio del 1953. L’adozione<br />

<strong>di</strong> quel trattato contemplava comunque<br />

delle misure <strong>di</strong> salvaguar<strong>di</strong>a per le miniere del<br />

Sulcis, in quanto l’autorità della CECA aveva<br />

stabilito, per un periodo <strong>di</strong> cinque anni,<br />

la possibilità <strong>di</strong> sostenere le produzioni sarde<br />

introducendo dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> dogana per le<br />

importazioni. Comunque, per il carbonsulcis<br />

il futuro s’era fatto quin<strong>di</strong> ancor più <strong>di</strong>fficile,<br />

anche perché nel 195 era stata <strong>di</strong>sposta dal<br />

Passato & Presente<br />

governo la soppressione dell’A.Ca.I. <strong>di</strong>venuta<br />

incongrua nella nuova situazione nazionale<br />

(l’Arsia era <strong>di</strong>venuta jugoslava e la sola società<br />

carbonifera era quella sarda).<br />

Quel che destava la maggior preoccupazione<br />

era comunque l’entità dei deficit annuali della<br />

Carbosarda: il Tesoro dello Stato vi avrebbe<br />

immesso, fra il 19 7 ed il 1960, capitali freschi<br />

per oltre 35 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> lire (sarebbero circa<br />

70 milioni in euro d’oggi).<br />

Ed è forse questa situazione a determinare la nascita<br />

<strong>di</strong> quel che la storia deve ricordare come il<br />

“piano Carta”, dal nome dell’ingegner Giorgio<br />

Carta, un geniale manager iglesiente <strong>di</strong>venuto<br />

il <strong>di</strong>rettore generale della società carbonifera.<br />

Il piano si reggeva sui punti seguenti:<br />

- costruire a bocca <strong>di</strong> miniera una centrale<br />

termoelettrica da 500 megawatt (destinata ad<br />

essere la più grande d’Italia),<br />

capace <strong>di</strong> bruciare circa 2<br />

Preoccupano le forti per<strong>di</strong>te<br />

milioni <strong>di</strong> tonnellate <strong>di</strong> car-<br />

e la richiesta <strong>di</strong> nuovi capitali:<br />

bone immettendo sul mer-<br />

in 10 anni vengono impegnati<br />

cato miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> chilovatto-<br />

fon<strong>di</strong> per oltre 30 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> lire<br />

re all’anno;<br />

- ottimizzare l’attività estrattiva<br />

per giungere a ren<strong>di</strong>menti doppi <strong>di</strong> quelli<br />

fino ad allora registrati, in modo da poter produrre<br />

i 2 milioni <strong>di</strong> tonnellate previsti ad un<br />

costo, per tonnellata estratta, in linea con gli<br />

standard europei;<br />

- creare così un complesso energetico integrato<br />

(miniera più centrale elettrica) capace<br />

<strong>di</strong> assicurare un futuro all’occupazione ed all’economia<br />

industriale dell’isola.<br />

Le previsioni economiche parevano sulla carta<br />

interessanti: i costi <strong>di</strong> produzione del kilowattore<br />

avrebbero permesso <strong>di</strong> vendere l’energia<br />

a basso costo (3 lire circa contro le 7,50<br />

richieste allora dall’Elettrica Sarda agli utenti<br />

industriali), mentre per gli eccessi <strong>di</strong> produzione<br />

sui fabbisogni sar<strong>di</strong> (circa 600 milioni<br />

<strong>di</strong> chilowattora annui) si sarebbe utilizzato<br />

un grande elettrodotto sottomarino che dal-<br />

<strong>Sardegna</strong> <strong>Economica</strong> 1/<strong>2011</strong><br />

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