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Sardegna Economica, N. 1/2011 - Università degli studi di Cagliari.

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Passato & Presente<br />

la <strong>Sardegna</strong> e la Corsica avrebbe raggiunto la<br />

Toscana immettendosi nelle reti nazionali.<br />

Un’apposita legge dello Stato – voluta dal governo<br />

del tempo – aveva assicurato il finanziamento<br />

necessario all’investimento valutato in<br />

65 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> lire (ma alla fine se ne sarebbero<br />

spesi più <strong>di</strong> 200 che in euro d’oggi farebbero<br />

quasi due miliar<strong>di</strong>).<br />

Su quelle basi la Carbonifera Sarda era andata<br />

alla ricerca <strong>di</strong> industrie energivore (cioè<br />

gran<strong>di</strong> consumatrici <strong>di</strong> elettri-<br />

cità) perché si stabilissero nell’isola.<br />

Alla sollecitazione del<br />

prezzo a bon marché dell’elettricità<br />

risposero la Rumianca<br />

con un investimento chimico<br />

a Macchiareddu, l’AMMI per<br />

un impianto metallurgico dello zinco a Portovesme<br />

e, soprattutto, gli industriali europei<br />

dell’alluminio, le cui produzioni hanno<br />

l’energia come il maggior fattore <strong>di</strong> costo (le 3<br />

lire promesse dalla Carbosarda facevano mercato<br />

sul prezzo me<strong>di</strong>o europeo allora attorno<br />

alle 6 lire). Quelle scelte, a cui sarebbero seguite<br />

quelle del gruppo SIR a Porto Torres e<br />

<strong>di</strong> quelli SNIA e Beretta a Villacidro, avrebbero<br />

orientato decisamente la nuova industrializzazione<br />

sarda verso impianti a basso tasso<br />

d’occupazione e ad alti consumi energetici.<br />

Purtroppo, anche quel piano era destinato<br />

a confermare il triste apologo <strong>di</strong> Salvatore<br />

Cambosu. Per ragioni – questo va detto in<br />

tutta obiettività – non del tutto imputabili al<br />

progetto.<br />

Perché in quei cinque anni fra il 1956 ed il<br />

1960 sarebbero avvenuti molti fatti nuovi,<br />

purtroppo non positivi. Innanzitutto l’andamento<br />

dei salari, determinato dall’adozione<br />

<strong>di</strong> nuovi contratti collettivi, che fece crescere<br />

in maniera esponenziale il costo del lavoro, in<br />

maniera forse non preve<strong>di</strong>bile al momento del<br />

varo del piano Carta. Contemporaneamente si<br />

andavano <strong>di</strong>ffondendo anche fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>-<br />

6<br />

<strong>Sardegna</strong> <strong>Economica</strong> 1/<strong>2011</strong><br />

saffezione al lavoro, tanto da portare il tasso <strong>di</strong><br />

assenteismo nei cantieri minerari del Sulcis da<br />

un fisiologico 10-12 per cento a punte anche<br />

del 5-50 per cento. Così, fatto eguale a 100 il<br />

valore d’una giornata <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> un minatore<br />

nel 1955, cinque anni dopo era salita a 156,<br />

mentre il ren<strong>di</strong>mento tonnellata/giorno/presenza<br />

era passato dall’ottimale 0,600 in<strong>di</strong>cato<br />

nel piano ad un me<strong>di</strong>ocre 0,325. Le produzioni<br />

del 1960/61 si sarebbero fermate attorno alle<br />

700 mila tonnellate con l’im-<br />

piego <strong>di</strong> circa 5 mila operai.<br />

Un maxi investimento La storia dunque ci <strong>di</strong>rà che<br />

per miniera e centrale:<br />

quel piano non sarebbe riusci-<br />

i costi totali raggiungono<br />

to a centrare i suoi ambiziosi<br />

oltre 200 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> lire<br />

obiettivi. I primi esperimenti<br />

portarono infatti ad un costo<br />

industriale <strong>di</strong> un chilowattatt termico molto<br />

vicino alle 10 lire, oltre tre volte tanto il preventivato.<br />

Infatti la supercentrale termica la<br />

si dovette rapidamente convertire a nafta e,<br />

soprattutto, l’intervenuta nazionalizzazione<br />

delle produzioni elettriche – <strong>di</strong>sposta dal governo<br />

nazionale nel <strong>di</strong>cembre 1962 – avrebbe<br />

vanificato la stessa logica su cui si reggevano<br />

le sinergie elettro-minerarie del piano Carta.<br />

Ma quel che renderà ancor più deludente il<br />

risultato sarà il constatare che fra il 1955 ed il<br />

1960 la Carbosarda avrebbe consuntivato per<strong>di</strong>te<br />

d’esercizio pari a poco meno <strong>di</strong> un miliardo<br />

<strong>di</strong> euro d’oggi. Non è quin<strong>di</strong> senza ragione<br />

che, secondo <strong>degli</strong> atten<strong>di</strong>bili calcoli <strong>di</strong> un<br />

ricercatore, il denaro pubblico fatto affluire<br />

dal 19 al 1962 per cercare <strong>di</strong> dare sostanza e<br />

futuro a quell’impresa mineraria ascenderebbe<br />

a non meno <strong>di</strong> tre volte la dotazione totale<br />

del Piano <strong>di</strong> Rinascita ( 00 miliar<strong>di</strong> delle<br />

lire 1960), senza peraltro ottenere che poco o<br />

niente. Quel povero carbone, come sostiene la<br />

vulgata popolare raccolta da Salvatore Cambosu,<br />

si sarebbe così tramutato in un nulla,<br />

come un sogno <strong>di</strong> ricchezza svanito nel nulla<br />

e che ha lasciato tutti più poveri. •

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