Vocabolario del dialetto albanense - ISSiRFA - Cnr
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Prefazione<br />
Dunque in Italia esistono ancora dialetti? Dunque a non molti chilometri da Roma vi sono<br />
centri che parlano ciascuno un proprio <strong>dialetto</strong>? Dunque ad Albano c'è chi si occupa <strong>del</strong><br />
<strong>dialetto</strong> locale, l'arbanese (in <strong>dialetto</strong>, appunto) o, in italiano corrente, albanese o, ancora,<br />
col latinismo curiale e burocratico, preferito nel titolo dagli autori, <strong>albanense</strong>? Questo vocabolario,<br />
meritorio in sé, come poi dirò, ci aiuta anche a rispondere con un triplice sì alle domande,<br />
sfidando forse lo stupore dei non bene informati.<br />
Il fatto, il grande fatto è che la storia e la geografia hanno creato condizioni assai differenti<br />
allo sviluppo linguistico dei popoli europei. Mentre oltre le Alpi dal pieno Medio evo<br />
si è potuta sviluppare una storia di convergenze politiche e culturali favorite da vaste pianure<br />
e grandi fiumi, di qua <strong>del</strong>le Alpi vi è solo una pianura, più piccola <strong>del</strong>la Provenza, la piana<br />
<strong>del</strong> Po, stretta tra Alpi e Appennini, da cui si diparte "la Lunga" (così i geografi arabi chiamavano<br />
l'Italia), un territorio in gran parte in pendenza, tormentato dagli Appennini che ancora<br />
pongono problemi a chi voglia traversarli in auto, coronato da isole o piccole e mal raggiungibili<br />
o maggiori, ma internamente ancor più frantumate <strong>del</strong> "continente". Qui perciò fin<br />
dall'antichità protostorica la geografia ha offerto le condizioni per lo sviluppo di nicchie linguistiche<br />
separate, dove popolazioni di diversa provenienza trovarono stanza e poterono poi<br />
resistere all'uniforme latinizzazione. Dal Medio evo la storia e la politica <strong>del</strong>le potenze nazionali<br />
europee hanno fatto il resto, favorendo per secoli la persistenza di differenti stati e<br />
città capitali, ciascuna a suo modo in contatto con l'Europa (Austria, Germania, Francia,<br />
Gran Bretagna, Spagna) più che con le altre capitali italiane. Non a torto nel tardo Medio evo<br />
in Francia si diceva "les Italies", al plurale. E a metà Ottocento Cesare Correnti paragonava<br />
l'Italia a un appartamento in cui le stanze comunicassero ciascuna con l'esterno, ma non tra<br />
loro.<br />
A ragione un grande storico francese <strong>del</strong>la passata generazione, Fernand Brau<strong>del</strong>, osservando<br />
l'insieme <strong>del</strong> mondo europeo e mediterraneo nel pieno Rinascimento, segnalava per<br />
l'Italia un carattere da lui designato con un ossimoro: la insigne, magnifica debolezza. E questa<br />
peculiare debolezza (secondo Brau<strong>del</strong> in Europa solo la Germania si avvicina all'Italia) è<br />
l'eccessiva presenza di grandi città capitali, ciascuna con una sua fisionomia particolare, una<br />
sua capacità di egemonia, nel senso ampio che Antonio Gramsci ci ha insegnato a riconoscere<br />
in questa parola. Ciò ha pesato e pesa nei processi di unificazione, ma anche protegge da<br />
omologazioni perverse e, con la sua varietà, è una riserva preziosa di vitali potenzialità autonome<br />
e creative.<br />
Come in un gioco di grandezze e figure frattali, in cui lo stesso modulo e rapporto si itera<br />
in scale sempre più ridotte, la stessa preziosa debolezza si ripete e ritrova intorno ai grandi<br />
centri urbani che con la loro diversità profonda segnano la storia italiana. L'Italia non è<br />
solo la terra <strong>del</strong>le cento città, è anche la terra dei mille e mille centri minori raccolti intorno<br />
alle antiche capitali, anch'essi irriducibilmente segnati da tradizioni proprie solo a ciascuno,<br />
da parlate fieramente e tenacemente distinte da quelle dei centri anche più vicini. Alessandria<br />
e Novara, Como e Lodi, Padova e Vicenza, Lucca e Pisa, Siena, Arezzo e Perugia, L'Aquila<br />
e Sulmona, Cosenza e Catanzaro, Enna e Agrigento, i membri di queste coppie o triple<br />
vogliono essere, sanno di essere ed effettivamente sono mondi culturali diversificati, tanto<br />
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