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Cina - Paolino Vitolo

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Si è fatta ora di pranzo e ci portano in un ristorante cinese cinese. Nella sala<br />

ci sono dei grandi tavoli rotondi con al centro la tipica piattaforma girevole<br />

per i piatti di portata, che, tutto sommato, sono tutti abbastanza buoni e<br />

apprezzabili. Otteniamo anche la solita birra, mentre i nostri compagni di<br />

viaggio cinesi preferiscono il tè. Chi vuole ottiene persino la forchetta; non<br />

io naturalmente, che ormai sono diventato molto bravo ad usare i baston‐<br />

cini. Noto addirittura che Yan Hong, che è seduta alla mia destra, prende<br />

con i bastoncini dai piatti di portata delle quantità di cibo molto inferiori a<br />

quelle che prendo io. Ma, ripensandoci meglio, non si tratta di bravura: il<br />

fatto è che anche con i bastoncini sono molto più smodato di una gentile ed<br />

educata signora cinese.<br />

In un angolo della sala da pranzo c’è un pittore che traccia su grandi fogli di<br />

carta degli ideogrammi in inchiostro di china. Anche gli ospiti che lo deside‐<br />

rino possono cimentarsi e qualcuno lo fa. Io preferisco rinunciare. Usciamo<br />

in strada e, poiché ci è concesso un po’ di tempo prima di ripartire per la<br />

prossima meta, diamo uno sguardo ai negozi che si affacciano sulla via.<br />

Gianfranco adocchia una specie di bar e devo dargli atto di grande acume e<br />

bravura nello scorgere l’unico oggetto che può qualificare tale anonima<br />

bottega come bar. Si tratta di una caffettiera moka che la ragazza del nego‐<br />

zio sta maneggiando con gesti esperti. Siamo tutti presi dall’entusiasmo e,<br />

almeno nel mio caso, da un’improvvisa nostalgia per la magica bevanda di<br />

cui faccio a meno da due settimane, senza peraltro avere le temute crisi di<br />

astinenza, che sarebbero state prevedibili, considerate la quantità di caffè<br />

che bevo in Italia. Ordiniamo subito alcuni caffè, che sono solertemente<br />

preparati, ma che, al momento in cui ci vengono serviti, destano le prime<br />

perplessità. Le tazze sono infatti di dimensioni abnormi ed anche la grande<br />

quantità di liquido in esse contenuto non promette nulla di buono. Infatti,<br />

appena assaggiato, il caffè si rivela quello che il grande Totò definiva sem‐<br />

plicemente “ciofeca”. Ci è andata male, ma siamo stati ingenui: dovevamo<br />

aspettarcelo.<br />

Vicino al cosiddetto bar c’è un negozietto delizioso: vi si vendono pennelli,<br />

inchiostri, cornici, carta, colori. C’è tutto ciò che può servire a chi dipinge o<br />

a chi scrive gli ideogrammi cinesi, che poi in fondo non sono altro che una<br />

forma di pittura. Olga, che si diletta anche di pittura (con ottimi risultati, se<br />

devo giudicare da un suo splendido acquerello che sta a casa di Gianfranco<br />

a Palinuro) è la prima che nota il negozio e vi acquista un grosso pacco di<br />

carta di riso e dei pennelli. Io sono attirato da alcune graziose scatole di<br />

legno, tutte istoriate di disegni e ideogrammi, che contengono pennelli di<br />

varie dimensioni e durezza. Mi piacciono e non costano molto, quindi deci‐<br />

do di acquistarne una, che scelgo praticamente a caso, ma Yan Hong, che è<br />

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