Cina - Paolino Vitolo
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Mercoledì 29 ottobre 2008 – Primo giorno a Guangzhou<br />
La levataccia è dura come previsto, ma siamo giovani e abbiamo tanto da<br />
fare e da vedere. Alle sette siamo pronti alla partenza e con due taxi ci av‐<br />
viamo in aeroporto. Tutto fila liscio, tanto è vero che, una volta imbarcati i<br />
bagagli, abbiamo tutto il tempo per bighellonare per il terminal. Ci colpisce<br />
un negozio o meglio una bancarella di alimentari, che vende sia cose nor‐<br />
mali, sia cose strane che<br />
stentiamo a riconoscere:<br />
è un primo assaggio di<br />
quello che ci aspetta a<br />
Canton o meglio, per dirla<br />
alla cinese, a Guangzhou ,<br />
che, se avete diligente‐<br />
mente letto il primo para‐<br />
grafo (“Considerazioni<br />
sulla lingua cinese”), si<br />
legge cuangiò con la o<br />
stretta. Elena ci aveva avvertito che gli stessi cinesi prendono in giro i can‐<br />
tonesi dicendo che mangiano qualsiasi cosa abbia quattro zampe, tranne i<br />
tavolini. Come vedrete nel seguito, questo detto ha un piccolo errore: il<br />
numero di zampe dell’oggetto mangereccio non ha nessuna importanza.<br />
Vanno bene anche le scolopendre (i micidiali centopiedi) e gli scorpioni,<br />
nonché i cavallucci marini, che del cavallo hanno solo la testa, ma non le<br />
zampe.<br />
Finalmente ci imbarchiamo e in un batter d’occhio siamo in volo per Guan‐<br />
gzhou, che sta ancora più a sud e che anzi è la meta più meridionale del<br />
nostro viaggio. Guangzhou in cinese si scrive 广州 e significa grosso modo<br />
“regione ampia”. Le previsioni del tempo gentilmente comunicate<br />
sull’aereo parlano di una temperatura all’arrivo di 30°C. In effetti a Canton<br />
troveremo un clima subtropicale con molta umidità e quei 30° fissi sia di<br />
giorno che di notte. L’aeroporto di Canton mi sembra enorme, soprattutto<br />
se paragonato a quelli appena visti di Xi’an e di Guilin. In effetti siamo in<br />
una delle principali città del sud della <strong>Cina</strong> e di tutto l’Oriente. Usciti al par‐<br />
cheggio dei taxi, il caldo mi sembra ancora più opprimente: penso con ter‐<br />
rore al giaccone di piume sepolto nella Samsonite verde, che a Pechino è<br />
stato indispensabile, mentre qua sarà soltanto uno scomodo e inutile peso.<br />
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