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Cina - Paolino Vitolo

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non riesce a prelevare contante con la sua nuovissima carta del Banco Poste.<br />

Proviamo prima gli sportelli automatici che stanno dentro la banca, poi, non<br />

essendo riusciti a cavare un ragno dal buco, decidiamo di provare ad uno<br />

sportello normale. La giovane impiegata è gentilissima ed efficiente, ma<br />

l’interminabile e complessa transazione non ha esito positivo. Evidente‐<br />

mente la carta Banco Poste Italiane in <strong>Cina</strong> non piace proprio. A questo<br />

punto decido di tagliare la testa al toro e metto in campo la mia American<br />

Express: preleverò 3000 yuan (poco più di 300 euro) e li presterò a Gian‐<br />

franco. La transazione è interminabile: devo presentare il mio passaporto,<br />

l’impiegata produce tonnellate di carte, alcune delle quali devono essere<br />

firmate direttamente dal direttore della filiale, ma alla fine riesco ad avere i<br />

soldi. Gianfranco starà tranquillo per un po’.<br />

Queste attività ci hanno portato via tutto il tempo del riposo. Torniamo in<br />

albergo mentre Olga e Alfonso già stanno scendendo alla reception. La<br />

prima cosa che dobbiamo visitare a Canton è il Tempio dei Sei Alberi di<br />

Baniano. Sì, proprio Baniano e non Banano, come sembrerebbe normale: la<br />

dizione con la i o anche con la y è presente in tutte le nostre guide e Alfonso<br />

ritiene che il baniano sia un vegetale diverso dal banano. Io non sono<br />

d’accordo, ma il caldo mi toglie ogni voglia di ribattere e di approfondire. In<br />

effetti, leggendo poi con calma le guide, scoprirò che Alfonso ha ragione: il<br />

baniano o banyano che dir si voglia è esattamente il ficus benghalensis, che<br />

non ha niente a che fare con il ben noto banano. Il tempio, costruito nel 537<br />

su rovine precedenti, si chiamava originariamente “dei mille Buddha”. Poi,<br />

intorno al 1100, il tempio fu visitato da un famoso poeta pittore e calligrafo<br />

di nome Dongpo, che fu colpito dalla bellezza di sei baniani che stavano lì e<br />

dipinse i due bellissimi ideogrammi 六 榕, che si leggono liù róng e signifi‐<br />

cano “sei baniani”, e da allora il tempio si chiama così.<br />

Per raggiungere il tempio ci serviamo della cartina fornita dall’albergo, an‐<br />

che se non è un gran che. Da questa si evince che ci conviene prendere la<br />

metropolitana, la cui fermata è vicinissima all’albergo. Questa vicinanza non<br />

mi impedisce però di arrivare sudato alla stazione, nei cui anfratti soffia un<br />

vento impetuoso e perenne, che, anche se piacevole, mi gela il sudore ad‐<br />

dosso. I biglietti della metropolitana sono dei gettoni di plastica che devono<br />

essere infilati in apposite fessure per consentire l’apertura dei tornelli di<br />

ingresso. Il viaggio in metro è piuttosto breve. Scendiamo e con una certa<br />

difficoltà cerchiamo di individuare l’uscita che ci porti in direzione della<br />

pagoda. Sorgono le solite discussioni oziose, tra me che non voglio chiedere<br />

informazioni a nessuno, Alfonso che vuole chiedere, Gianfranco che dà il<br />

suo parere ineluttabile e Olga che saggiamente tace. Alla fine, poiché sem‐<br />

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