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Cina - Paolino Vitolo

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l’occasione di iniziare il mio studio del cinese, approfittando dei cartelli<br />

scritti sia in ideogrammi che in pinyin. Poi, entrando in città, veniamo presi<br />

nella morsa di un traffico incredibile: peggio di Napoli, peggio del raccordo<br />

anulare di Roma. Impieghiamo un’ora buona per arrivare all’albergo e ci<br />

stupisce la calma mantenuta dall’autista in tutto il percorso, nonostante la<br />

guida piuttosto scorretta, che sembra essere la prerogativa di tutti i tassisti<br />

cinesi. Impietositi dal superlavoro a cui è stato sottoposto il poveretto,<br />

decidiamo di dargli 600 yuan, cioè 50 yuan di mancia, tanto – pensiamo‐ si<br />

tratta di appena 5 euro. È una decisione semplicemente pazzesca: in <strong>Cina</strong><br />

non si usa la mancia e tanto meno di quell’entità, a dir poco favolosa per il<br />

potere d’acquisto cinese. L’autista accetta semplicemente perché ci scam‐<br />

bia per quattro americani pazzi e non finisce di ringraziarci, quasi incredulo<br />

di tanta fortuna, pur stimandoci – credo – come dei perfetti imbecilli. Ma<br />

meritiamo di essere compatiti: in fondo siamo alle prime armi, ma siamo<br />

dei ragazzi (?) intelligenti ed impareremo presto.<br />

Nella reception dell’hotel ci aspetta Elena, la figlia di Olga e Alfonso, che ha<br />

già organizzato il resto della giornata per noi. Intanto iniziamo le operazioni<br />

di check‐in, che sono lunghe, laboriose e sofferte. Impareremo presto che<br />

in <strong>Cina</strong> è dappertutto così: si registrano i passaporti e si compilano pile di<br />

foglietti, prima della consegna delle sospirate chiavi elettroniche. Invaria‐<br />

bilmente viene chiesto il deposito di una cauzione, che l’albergo richiede<br />

per cautelarsi da eventuali improbabili fughe (per andare dove, se tutti i<br />

documenti e tutti i movimenti sono registrati meticolosamente?). Come Dio<br />

vuole guadagniamo le nostre camere, dove abbiamo mezz’ora per rinfre‐<br />

scarci prima di iniziare la prima escursione proposta da Elena. La camera è<br />

su standard americano occidentale, con il bagno accanto all’ingresso, i letti<br />

molto ampi, la TV, il telefono e il frigobar (che non utilizzeremo mai perché<br />

inutilmente costoso). Sui rubinetti del bagno c’è scritto espressamente in<br />

inglese e in cinese “acqua non potabile”. Inoltre l’albergo offre due botti‐<br />

gliette di acqua minerale al giorno, per permettere agli ospiti di bere se ne<br />

hanno voglia o magari di lavarsi i denti con acqua non infetta e non inquina‐<br />

ta. In effetti spesso queste bottigliette non contengono acqua minerale<br />

come la intendiamo noi, ma soltanto acqua resa potabile mediante bollitura.<br />

Comunque accettiamo di buon grado questo servizio pressoché indispensa‐<br />

bile. È questo il primo contrasto che salta ai nostri occhi. Pechino si presen‐<br />

ta come una città occidentale con strade sopraelevate, giardini e grattacieli<br />

di aspetto avveniristico. La notte brilla di luci fantasmagoriche, come noi in<br />

Italia nemmeno ci sogniamo. Però non hanno acqua potabile (come in tutta<br />

la <strong>Cina</strong>), perché evidentemente non hanno pensato di risolvere il problema<br />

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