pubblicazione - 2° Circolo Didattico Colle di Val d'Elsa

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Ordine d'acquisizione per le categorie: persona > numero > genere Sequenza di acquisizione dell'accordo di genere (Chini 1995): pronome anaforico (lui/lei) > articolo (la donna) > aggettivo attributivo (la donna bella) > aggettivo predicativo (la donna è bella) > participio passato (la donna è arrivata) Sequenza di acquisizione della negazione (Bernini 1996): no > non > niente/nessuno > neanche/mica 2 3 aggettivo attributivo (la donna bella) Sequenza d’acquisizione dei pronomi clitici (Berretta 1986; cfr. Pona 2009a, 2009b): ci (+ 'essere') anche non analizzato > mi dativo > mi riflessivo > si impers/passivante > si riflessivo > ti > lo flesso (lo>la>li>le) > gruppi me lo/te lo > ci locativale > dativi di 3a > ci/vi di 1a pl. e 2a pl. > ne in gruppi (non analizzato: “non me ne frega niente”) > ne partitivo (analizzato: “ne voglio due”) > ne accusativo genitivale (analizzato: “ne ha parlato la maestra”)> ne locativo (dapprima non analizzato, poi analizzato: “me ne vado”) Come si vede da queste sequenze, il processo di elaborazione segue delle tappe influenzate dall’input e dalla frequenza di determinate strutture dell’input stesso, ma indipendenti da esso. Può succedere che strutture molto frequenti nell’input (come, ad esempio, si, mica, magari, etc.) appaiano relativamente tardi nel percorso di apprendimento. Si consiglia, quindi, di non affidarsi ad esercitazioni e correzioni sistematiche di una determinata struttura, ma di fidarsi del naturale programma di apprendimento della lingua. 18 4 aggettivo predicativo (la donna è bella) aggettivo attributivo (la donna bella) 5 participio passato (la donna è arrivata) aggettivo predicativo (la donna è bella) aggettivo attributivo (la donna bella) 1 articolo (la donna) articolo (la donna) articolo (la donna) articolo (la donna) pronome anaforico (lui/lei) pronome anaforico (lui/lei) pronome anaforico (lui/lei) pronome anaforico (lui/lei) pronome anaforico (lui/lei)
2. Strategie relazionali e didattiche 2.a. Strategie relazionali “Un giorno è avvenuto un fatto che mi è rimasto nel cuore e che ho portato con me in Italia. Qualcosa che mi hanno insegnato i bambini e cioè che la diversità nella lingua, spesso, non rappresenta un problema di comunicazione. Mi trovo nella sezione Bullerby che accoglie bambini da 1 a 2 anni. Una bambina è arrivata a scuola da poco, ha 1 anno e 4 mesi e in mano tiene stretto il piccolo libro che ha portato con sé da casa e che le permette di separarsi dalla mamma. Io non parlo svedese, lei non comprende l'italiano. Mi prende per mano, mi invita a sedermi per terra, mi sale in braccio e mi consegna il suo libro. Glielo leggo in italiano affidandomi alle figure, lei segue con il suo ditino e vocalizza. Un’altra bambina incuriosita dalle sonorità della lingua si avvicina, si ferma per un momento in piedi, di fianco a me, e poi mi viene in braccio e ascolta attenta. A dimostrazione che un’immagine, un gesto e un suono possono bastare per incontrarsi e stare insieme”. Astrid Valeck I bambini sono bambini e non rappresentanti di culture. Emozioni, paure, monellerie, curiosità, voglia di scoprire, intelligenza sono la sostanza di tutte le bambine e di tutti i bambini. Infatti, nessuno di noi è mai assimilabile alla propria “origine culturale”. La ricerca antropologica ha dimostrato attraverso la pratica etnografica che le culture non sono “contenitori chiusi” ma reti aperte 4 : le persone reali non sono assimilabili a delle idee " La cultura come “contenitore” è una metafora usata nel dibattito antropologico per criticare il concetto di cultura costituita da tratti distintivi e immutabili, i quali dovrebbero definire l’identità degli individui. Come afferma l’antropologo Leonardo Piasere “la categoria ‘cultura’ è mappata sulla metafora del contenitore, nel senso che è pensata come se fosse un contenitore, con un interno, delle pareti o dei confini precisamente posti, un esterno. Come nel mondo dei contenitori una cosa o è dentro o è fuori ad un contenitore dato, così anche le categorie ‘contengono’ o ‘non contengono un dato elemento” (Piasere 2010: 49). La conseguenza è, dunque, quella di ‘creare l’Altro’, di imporre agli individui un’identità etnica decisa aprioristicamente, poiché essa si identifica con la falsa credenza di “avere la facoltà di ‘inventare’, di ‘costruire’ completamente gli altri, oltre che quella di dominarli” (Piasere 2010: 73). Tale approccio, afferma Francesco Remotti, “ci pone su un sentiero viscido […] non ci vuol molto a scivolare dal riconoscimento e dal rispetto delle differenze alla discriminazione […]” (Remotti 2001: 29). Ad entrare in relazione sono invece gli individui, che non si assimilano né si separano ma si connettono oltrepassando i rispettivi confini “[…] superando le barriere (logiche o di altro genere) trans-gredendo limiti e divieti di accesso. Nelle reti di connessione (spesso confuse, non propriamente nette, talvolta aggrovigliate, in alcuni punti mancanti o lacerate) l’identità è senz’altro presente; ma lo è con difficoltà: la contrastano i fili che, in certi casi sotterranei, passano sotto le linee di confine” (Remotti 2001: 9). 19
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