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<strong>Gianni</strong> <strong>Savron</strong> <strong>Le</strong> <strong>Fobie</strong><br />
fobie specifiche, anche se parrebbe più elevata nella claustrofobia (Barlow,<br />
2002).<br />
La primarietà del panico sull’agorafobia è sostenuto da vari ricercatori ad<br />
orientamento biologico, anche se tali dati vengono contraddetti da studi<br />
come il nostro (Fava et al., 1995), che evidenziano l’efficacia dei trattamenti<br />
psicoterapeutici del panico.<br />
A simili conclusioni giunge anche lo studio in cui si è visto che pazienti<br />
con panico trattati mediante esposizione e placebo riportavano un esito<br />
migliore di quelli trattati con esposizione ed alprazolam (Basoglu, 1992).<br />
Nella teoria biologica di Klein (1989) il panico è primario rispetto l’agorafobia<br />
per i seguenti motivi: a) insorgenza spontanea; b) risponde a farmaci<br />
antidepressivi come l’imipramina; c) presenza di ansia di separazione e fobia<br />
della scuola in campioni di pazienti con panico e agorafobia rispetto ai campioni<br />
di controllo composti da soggetti con disturbi psichiatrici senza panico;<br />
d) l’infusione di acido lattico può indurre l’attacco di panico in soggetti con<br />
panico ma non in soggetti di controllo normali o con disturbi ansiosi; e) la<br />
concordanza familiare in gemelli monozigoti rispetto ai dizigoti.<br />
Questo modello ha tuttavia ricevuto varie critiche poiché è stato osservato<br />
che: a) eventi di vita minacciosi precedono l’insorgenza del panico, anche<br />
sensazioni fisiche e pensieri terrifici; b) l’effetto ansiolitico dell’imipramina e<br />
dell’auto esposizione praticata dal soggetto; c) si erediterebbe l’ansia tratto,<br />
quindi la tendenza all’emozionabilità, nervosismo, nevroticismo; d) l’alta<br />
percentuale di agorafobici senza panico; e) la presenza di sintomi prodromici<br />
degli attacchi di panico.<br />
Verosimilmente esistono probabilmente due categorie distinte, soggetti<br />
con panico primario e soggetti con agorafobia primaria.<br />
Secondo l’approccio cognitivista, sulla scia degli studi di Beck et al. (1985)<br />
e di Clarke (1986), l’ansia consegue alla valutazione minacciosa della situazione<br />
e come tale è una conseguenza delle opinioni o assunzioni pre-esistenti<br />
in merito alla situazione che si sta vivendo.<br />
L’evitamento agorafobico non rappresenta quindi solamente una conseguenza<br />
della valutazione del pericolo, ma anche l’elemento di mantenimento<br />
della minaccia stessa.<br />
La valutazione della minaccia sarebbe in relazione all’interazione dei<br />
seguenti 4 fattori: 1) la stima della probabilità del danno; 2) la percezione del<br />
grado di pericolo; 3) la percezione delle proprie abilità; 4) i fattori inerenti la<br />
salvezza. Per cui, la persona può sopravvalutare la probabilità del danno o<br />
sottostimare le proprie abilità nell’affrontare la minaccia.<br />
L’operazione consiste quindi nel connettere le sensazioni al significato, e<br />
la reazione ansiosa dell’agorafobico consegue l’opinione di essere in pericolo<br />
in quella situazione, e di conseguenza egli tende a ricercare la sicurezza<br />
fuggendo dalla situazione, disconfermando apparentemente l’idea di essere<br />
in pericolo (Salkovskis & Hackmann, 1997).<br />
58 Caleidoscopio