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IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />
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Ostile a quell’allegra distribuzione di semplici titoli d’anoblissement che<br />
aveva fatto proliferare una nobiltà rurale povera, selvaggia e sovvertitrice, 6 il<br />
ministro Bogino non esitò a rivestire di dignità marchionale o comitale floride<br />
fortune mercantili e ad attingervi per rinvigorire le esangui casse regie. Invece,<br />
a Settecento avanzato come all’inizio del secolo, furono i vassalli rurali a<br />
protestare ogni qualvolta si prospettò loro il passaggio sotto il dominio di un<br />
signore. Nel 1737, allorché ebbero sentore di una possibile infeudazione al<br />
conte di Castiglio, i villaggi di Parte Ocier Real si erano affrettati ad inviare a<br />
Cagliari un procuratore generale. Paventando di venir «angustiati con abusive<br />
e rigorose esazioni […] e con servizi personali, come si pratica[va] dalla maggior<br />
parte degli altri Baroni», chiesero di essere «mantenuti liberi della soggezione<br />
di un feudatario» e lasciarono intendere che avrebbero fatto di tutto<br />
«per redimersi da una tale schiavitù» .7 L’anno successivo insorse l’intero distretto<br />
del Mandrolisai: pur di «dipendere immediatamente da S.M.», le comunità<br />
rurali erano disposte a versare all’erario regio mille scudi in più di<br />
quanto era stato offerto dal conte di San Martino, don Giovanni Valentino, per<br />
succedere al padre. 8 Le ostilità incontrate dai neotitolati degli anni Sessanta<br />
sono ancor più note. Fece clamore la vicenda di don Antonio Todde: i contrasti<br />
con la città di Bosa lo costrinsero a rinunciare all’infeudazione di Montresta<br />
e ad accontentarsi del marchesato di Santa Vittoria. 9<br />
6 Sul generico anoblissement come fonte di un’intollerabile pletora nobiliare, sulle dimensioni del<br />
cavalierato rurale e sulla sua propensione a sostenere «ladri e facinorosi», nonché sui progetti di<br />
drastica riduzione elaborati durante il ministero di Bogino cfr. Memoria di Progetto per frenare<br />
i disordini che si commettono dai nobili di Sardegna, in AST, Sardegna, Giuridico, m.3,n.1;<br />
Riflessi critici sopra lo scritto concernente i Cavalieri ricettatori e fautori di malviventi, e i<br />
mezzi da adoperarsi per loro contegno (ivi, n. 2).<br />
7 Lettera viceregia del 4 ottobre 1737, in Archivio di Stato di Cagliari (ASC), Segreteria di Stato,<br />
s. I, v. 281; altra dell’8 ottobre 1737 in AST, Sardegna, Viceré, Corrispondenza proveniente<br />
dall’isola, m.7.<br />
8 Succedendo al padre, don Giovanni Valentino intendeva perfezionare l’infeudazione fatta al<br />
padre. Cfr. lettera viceregia del 31 maggio 1738 (ivi) e F. FLORIS cit., p. 677.<br />
9 Marchese di San Cristoforo dal 1763, dopo anni Don Antonio Todde non era in grado di far<br />
valere i privilegi d’investitura. Il possesso dei salti nelle vicinanze di Bosa, confermatogli dalla<br />
Reale Udienza nel 1769, gli veniva contestato violentemente dai consiglieri della città, tempestivi<br />
nella cattura e nella macellazione del bestiame appartenente al signore. La situazione si era<br />
complicata tanto che il ministro Bogino sospettò due alti funzionari sardi di complicità con il<br />
consiglio civico. Si trattava di Pietro Sanna Lecca e di Gavino Cocco, che avrebbero ostacolato<br />
l’insediamento del nuovo feudatario, mentre in qualità di avvocati patrimoniali avrebbero dovuto<br />
facilitarlo (cfr. la lettera di Bogino al conte di Robbione del 2 febbraio 1772, in ASC, Segreteria<br />
di Stato, s. I, v. 39). Per un caso analogo nella Barbagia di Belvì, infeudata a Salvatore<br />
Lostia, cfr. F. LODDO CANEPA, La Sardegna dal 1478 al 1793, vol. II, a cura di G. Olla Repetto,<br />
Gallizzi, Sassari 1975, pp. 202-203.