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Joan Armangué i Herrero<br />
liche, strettamente intrecciate al tessuto epico nel quale viveva – e per il quale<br />
combatteva – il sovrano catalano. In effetti, è noto che molto spesso i re della<br />
Corona d’Aragona, come tanti altri sovrani, vollero mantenere nella vita reale<br />
comportamenti cavallereschi. In sostanza con questi imitavano gli eroi delle<br />
chansons de geste francesi e occitane e quelli dei romanzi di tematica bretone.<br />
Ancora prima, avevano trovato nella poesia di matrice provenzale un mezzo<br />
che li equiparava agli altri trovatori, e si sottomettevano alle regole dell’amore<br />
cortese con un’umiltà che, senza dubbio, li faceva risultare simpatici agli occhi<br />
dei loro sudditi. Il re Alfonso il Casto, per esempio, a metà del XII secolo si<br />
presentava già come un vassallo «plevitz e juratz» della sua dama e conversava<br />
amichevolmente con il trovatore di umile lignaggio Giraut de Bornelh. 150 Queste,<br />
però, sono convenzioni strettamente letterarie che i discendenti del reAlfonso<br />
continuarono a coltivare, 151 ma che coincidono soltanto marginalmente con l’oggetto<br />
del nostro interesse. Ora vogliamo sottolineare, attraverso il comportamento<br />
dei sovrani, alcuni esempi di un atteggiamento cavalleresco proiettato<br />
verso la realtà. Parliamo, cioè, di comportamenti appresi nella tradizione letteraria<br />
e applicati però a un contesto reale. È questo il motivo per cui la fonte<br />
documentaria migliore non sarà la lirica dei trovatori, ma l’epica delle quattro<br />
più importanti cronache catalane.<br />
In primo luogo, Giacomo I aveva assimilato profondamente lo spirito e lo<br />
stile delle chansons de geste, ai quali adattò certi atteggiamenti della sua vita e<br />
che quindi si evidenziano nella sua Cronaca. 152 A tal proposito è noto il passaggio<br />
in cui il re, ridendo, si era strappato da solo una freccia che l’aveva ferito al<br />
capo (cap. 266), o l’altro in cui egli aveva fatto giurare i nobili e i vescovi<br />
«sobre los Sancts Evangelis e la crou de Déu, que a l’entrar de Mallorques, quan<br />
s’envairia, negun ric hom, ni cavaller, ni hom de peu, que negú no tornàs atràs<br />
[…] e que no s’aturàs si dons no havia colp mortal» (cap. 81). Al di là delle<br />
comprensibili esagerazioni formali, bisogna considerare che è stata individuata<br />
nel cranio del re la cicatrice della ferita e che il giuramento di non indietreggiare<br />
mai è del tutto verosimile durante la vigilia di un evento di massima tensione<br />
bellica. Nonostante ciò, è stato sottolineato in quale modo, più o meno consapevole,<br />
Giacomo I abbia potuto imitare, con il suo comportamento risoluto, l’eroi-<br />
150 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, pp. 23 e 44-46.<br />
151 Pietro il Grande, per esempio, conversava con l’umile giullare Peironet; ed è a partire da questa<br />
eccezionale permissività letteraria che dobbiamo interpretare i suggerimenti che Ramon<br />
Muntaner, anziano militare, si azzardò a dare a Giacomo II in modo da orientarlo verso la<br />
conquista della Sardegna.<br />
152 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., p. 418.