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Revista Insula núm 1. Juny 2007

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Joan Armangué i Herrero<br />

liche, strettamente intrecciate al tessuto epico nel quale viveva – e per il quale<br />

combatteva – il sovrano catalano. In effetti, è noto che molto spesso i re della<br />

Corona d’Aragona, come tanti altri sovrani, vollero mantenere nella vita reale<br />

comportamenti cavallereschi. In sostanza con questi imitavano gli eroi delle<br />

chansons de geste francesi e occitane e quelli dei romanzi di tematica bretone.<br />

Ancora prima, avevano trovato nella poesia di matrice provenzale un mezzo<br />

che li equiparava agli altri trovatori, e si sottomettevano alle regole dell’amore<br />

cortese con un’umiltà che, senza dubbio, li faceva risultare simpatici agli occhi<br />

dei loro sudditi. Il re Alfonso il Casto, per esempio, a metà del XII secolo si<br />

presentava già come un vassallo «plevitz e juratz» della sua dama e conversava<br />

amichevolmente con il trovatore di umile lignaggio Giraut de Bornelh. 150 Queste,<br />

però, sono convenzioni strettamente letterarie che i discendenti del reAlfonso<br />

continuarono a coltivare, 151 ma che coincidono soltanto marginalmente con l’oggetto<br />

del nostro interesse. Ora vogliamo sottolineare, attraverso il comportamento<br />

dei sovrani, alcuni esempi di un atteggiamento cavalleresco proiettato<br />

verso la realtà. Parliamo, cioè, di comportamenti appresi nella tradizione letteraria<br />

e applicati però a un contesto reale. È questo il motivo per cui la fonte<br />

documentaria migliore non sarà la lirica dei trovatori, ma l’epica delle quattro<br />

più importanti cronache catalane.<br />

In primo luogo, Giacomo I aveva assimilato profondamente lo spirito e lo<br />

stile delle chansons de geste, ai quali adattò certi atteggiamenti della sua vita e<br />

che quindi si evidenziano nella sua Cronaca. 152 A tal proposito è noto il passaggio<br />

in cui il re, ridendo, si era strappato da solo una freccia che l’aveva ferito al<br />

capo (cap. 266), o l’altro in cui egli aveva fatto giurare i nobili e i vescovi<br />

«sobre los Sancts Evangelis e la crou de Déu, que a l’entrar de Mallorques, quan<br />

s’envairia, negun ric hom, ni cavaller, ni hom de peu, que negú no tornàs atràs<br />

[…] e que no s’aturàs si dons no havia colp mortal» (cap. 81). Al di là delle<br />

comprensibili esagerazioni formali, bisogna considerare che è stata individuata<br />

nel cranio del re la cicatrice della ferita e che il giuramento di non indietreggiare<br />

mai è del tutto verosimile durante la vigilia di un evento di massima tensione<br />

bellica. Nonostante ciò, è stato sottolineato in quale modo, più o meno consapevole,<br />

Giacomo I abbia potuto imitare, con il suo comportamento risoluto, l’eroi-<br />

150 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, pp. 23 e 44-46.<br />

151 Pietro il Grande, per esempio, conversava con l’umile giullare Peironet; ed è a partire da questa<br />

eccezionale permissività letteraria che dobbiamo interpretare i suggerimenti che Ramon<br />

Muntaner, anziano militare, si azzardò a dare a Giacomo II in modo da orientarlo verso la<br />

conquista della Sardegna.<br />

152 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., p. 418.

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