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mento – l’unico – all’isola di Sardegna, di cui abbiamo già parlato: il capitolo<br />
104 narra lo sbarco del re Pietro il Grande a Capoterra durante la traversata del<br />
maggio del 1283, che doveva portarlo dalla Sicilia a Bordeaux per presentarsi il 1<br />
giugno alla sfida con Carlo d’Angiò. Vorremmo sottolineare il coraggio del sovrano,<br />
che aveva esclamato, nel vedersi fermo in mezzo al mare, che «per res que jo<br />
pusca fer romandrà que jo no sia al jorn de la batalla»; cosicché egli abbandonò la<br />
flotta e, praticamente senza scorta sufficiente, andò avanti per affrontare i pericoli<br />
che lo aspettavano vicino alla costa sarda, «plena de llenys armats de males gents».<br />
Come se si fosse già inserito nel contesto cerimoniale del duello, Pietro il Grande<br />
imitò il già ricordato eroe carolingio Vivian, il quale aveva giurato di non indietreggiare<br />
mai, ma non solo, egli ricorda altresì un modello ancora più elevato,<br />
quello di suo padre Giacomo il Conquistatore, colui che aveva pronunciato un<br />
giuramento analogo davanti alle porte di Maiorca. Ora, re Pietro, di fronte al<br />
pericolo dei pirati, preferiva il rischio di un «colp mortal» piuttosto che la vergogna<br />
di vedersi bloccato da un semplice mutamento di vento.<br />
Per quanto concerne quest’argomento, vogliamo ora evitare di proporre altri<br />
esempi e ricordare che le cronache, come è ovvio, costituiscono testi di lettura<br />
obbligata all’interno della famiglia reale. Per limitarci al Libre dels feyts di Giacomo<br />
il Conquistatore, dobbiamo sottolineare che il nipote Giacomo il Giusto commissionò<br />
al domenicano Pere Marsili la redazione di un Liber gestarum (1313),<br />
scritto partendo dalle narrazioni in lingua volgare custodite presso gli archivi regi.<br />
Venti anni dopo Alfonso il Benigno richiese a sua sorella Maria «el libro del<br />
senyor rey don Jayme, nuestro besavuelo», libro che l’infanta avrebbe letto in<br />
catalano e non in latino. 160 Pietro il Cerimonioso, verso la fine del secolo, scriverà<br />
ancora che una domenica notte, «a hora de prim so, nós encara no érem gitats e<br />
legíem lo libre o crònica del senyor rei En Jacme, tresavi nostre». 161<br />
Re Giovanni, particolarmente appassionato delle lettere, si era formato in<br />
un contesto dinastico ben deciso a perpetuare il ricordo della gloria cavalleresca<br />
degli antenati della casata d’Aragona, i quali seguivano modi guerreschi<br />
veicolati dalle chansons de geste francesi e occitane e dai romanzi del ciclo di<br />
re Artù. Infatti, troviamo questo re leggendario con alcuni dei suoi uomini nei<br />
versi dell’Ensenhamen di Guerau de Cabrera, durante il regno di Alfonso il<br />
Casto (1162-1196), «aquel que trobet»; a metà del XIII secolo Cerverí de Girona<br />
citerà «Lansalot e Tristany / Perseval e Juani / Rotlan e Oliver»; all’inizio del<br />
XIV secolo, Ramon Muntaner nella sua cronaca ricorderà sia re Artù che<br />
160 Ivi, p. 398.<br />
161 Cap. III, § 193.<br />
Joan Armangué i Herrero