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spettatore. I suoi personaggi hanno una loro specificità viva, una completezza umana<br />
protetta da quell’ambiente-mondo della stanza nell’universo esterno della luce che non<br />
può che filtrare all’interno, nuda <strong>art</strong>icolata rivelazione. Non c’è riparo dalla luce di Hopper,<br />
non rivela, richiama la persona fino a bruciarla, e forse infine la brucia fino a richiamarla in<br />
vita.<br />
L’ambiente di Hopper è esterno, sempre, senza protezioni. L’unica casa rimasta all’uomo è<br />
l’altissima e impersonale luce, che lo colpisce imponente e intensa in un abbaglio cocente<br />
come la luce stellare del sole colpisce il mondo. Da quella estrema lontananza avvertita<br />
nei quadri di Hopper, ripercorsa indietro fino alla sua fonte lontana, si costruisce un<br />
miracolo nudo che mette l’uomo davanti al muro della luce, nel punto in cui sta per<br />
reagire, capire, cambiare pelle. Un incendio f<strong>ure</strong>nte abita i quadri di Hopper. Un risveglio<br />
assoluto li abita, è il desiderio pr<strong>of</strong>ondissimo di quel risveglio assoluto dell’individuo di cui<br />
l’uomo moderno ha bisogno. Hopper mantenendo la figurazione intatta conserva una<br />
umana continuità con lo spettatore e lo ritrova all’inizio di questo nuovo secolo pronto a<br />
dover reagire. Il potere dell’immagine e della scena ci porta a pensare che tutta l’<strong>art</strong>e della<br />
scomposizione della superficie attuata nel novecento non sia mai esistita, come se quasi<br />
non se ne avesse più bisogno! √à come se Hopper apparisse non all’inizio di quel processo<br />
ma alla fine, come il più raffinato dei risultati: il necessario ritorno all’immagine.<br />
In Hopper la luce è sempre esterna, diretta, spietata. E quando invece si tratta della luce<br />
elettrica chiusa in una stanza, essa allo stesso modo spietatamente colpisce e vuole<br />
rivelare crudemente la presenza umana di quelle persone che stanno per essere scosse<br />
dall’atomo della loro natura, ma non ancora, un attimo prima. Il miracolo continua a<br />
essere nutrito del mistero della condizione dell’uomo. E noi spettatori dove siamo rispetto<br />
a quella luce violenta che cade dal s<strong>of</strong>fitto di quella stanza? O all’interno, diventando simili<br />
a quelle persone – che ci siano o che non siano lì effettivamente – che sono presenti in<br />
quell’ambiente, tenendo fuori, alle nostra spalle, la notte; o all’esterno, ammirando il<br />
contrasto di quella luce <strong>art</strong>ificiale con il nero naturale e inerte della notte che abita in quel<br />
momento il mondo.<br />
La luce è una casa che siamo costretti ad abitare in questo mondo, che sia con il corpo o<br />
con gli occhi. Niente cambia: l’effetto di quella luce ci rivela dove siamo, colpiti a morte,<br />
potentemente risvegliati in un altro mondo, pronti ad esserlo. Hopper coglie quest’attimo<br />
dell’eternità pronta a rinnovarsi, un attimo che si apre all’eventuale evoluzione dell’essere.<br />
Egli annuncia il futuro! Quel labile insidioso miracolo che è il futuro! Non c’è protezione in<br />
un quadro di Hopper. Quello che si vede è precisione della luce: l’immagine dipinta è<br />
centro della luce, e il corpo è centro del centro di quella luce.<br />
Questa rappresentazione ha una meccanica: per chiudere la casa della luce rivelata nei<br />
paesaggi degli impressionisti, per concretizzarla, per fare apparire questa casa del mondo<br />
umano, egli fa apparire nel quadro i punti cardinali dei colori primari – o secondari – in<br />
numero di tre ricombinati nello spazio del quadro segnando il meccanismo, il richiamo, e la<br />
chiusura della scena, e della luce. Una tenda verde, un comignolo rosso, un palo blu… La<br />
geometria della luce è creata e può essere abitata. La luce sempre frontale messa davanti<br />
agli occhi dello spettatore lo cristallizzano insieme al quadro, p<strong>art</strong>e di esso.<br />
Dagli occhi l’immedesimazione totale, nella rete dei punti cardinali della luce!<br />
104<br />
Siamo nel teatro anche noi e<br />
guardiamo il ballo della danzatrice<br />
nuda, selvatico animale umano, che<br />
tiene dietro di sé un velo viola alzato<br />
dal movimento ma fermo come una<br />
vela di tempo eterno, sensualmente<br />
murato nella condizione di quella<br />
nudità che svela e che tornerà ad<br />
avvolgere.<br />
Siamo sul bordo della strada mentre<br />
camminiamo e notiamo la ragazza