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visivamente a suo corollario: Genio Futurista.<br />

Le vicende della p<strong>art</strong>ecipazione futurista<br />

all’esposizione parigina che mise in scena l’Art Déco<br />

internazionale sono state messe in luce in un<br />

prezioso <strong>art</strong>icolo di Federica Pirani del 1999 .<br />

Tuttavia vale la pena di ripercorrerle brevemente<br />

per contestualizzare l’opera in un momento cruciale<br />

per la diffusione del futurismo in campo europeo, e<br />

parimenti per dar conto delle incomprensioni che<br />

contemporaneamente il movimento riscuoteva in<br />

Italia. Nonostante la sempre accesa presenza di<br />

Marinetti nel contesto organizzativo italiano e gli<br />

appoggi che gli derivavano dal capo del governo<br />

Mussolini anche grazie al precoce sostegno dato al<br />

fascismo (il quale dal canto suo non lesinava<br />

apprezzamenti positivi al futurismo, ma per una<br />

precisa scelta politico-<strong>cult</strong>urale aveva lucidamente<br />

optato per una posizione personalmente defilata<br />

nelle decisioni <strong>art</strong>istiche nazionali, anche se talvolta<br />

– fu proprio il caso di Parigi 1925 – derogò da<br />

questa posizione per motivi legati a rapporti<br />

personali, di ordine eccezionale), il futurismo non<br />

aveva mai trovato un ampio palcoscenico critico in<br />

Italia. Le scelte corporative degli <strong>art</strong>isti e dei critici si orientavano piuttosto sul sostegno a<br />

un ritorno all’ordine classico, in ordine a un gusto nazionale decisamente preponderante in<br />

questo senso. Il futurismo aveva guadagnato una sua nicchia rispettata ma sempre messa<br />

in scacco dalle decisioni delle organizzazioni ufficiali, che occorreva di volta in volta<br />

controbattere per ottenere uno spazio di visibilità pubblica nelle varie manifestazioni<br />

collettive (Biennali veneziane e romane, Biennali e Triennali di Monza e poi Milano, ecc.). Il<br />

caso dell’Esposizione parigina non fece eccezione, con il suo comitato formato da burocrati<br />

come Te<strong>of</strong>ilo Rossi di Montelera, Ambasciatore a Parigi e Commissario Generale del<br />

Comitato per l’Esposizione, Guido Colla, funzionario della Camera di Commercio di Torino,<br />

Pietro Donvito, Prefetto di Torino, e i commissari tecnici Arduino Colasanti, Direttore<br />

Generale delle Antichità e Belle Arti di Roma, Annibale Galateri, s<strong>cult</strong>ore torinese,<br />

Armando Brasini, architetto eclettico e autore del Padiglione italiano: un p<strong>art</strong>erre<br />

decisamente rétro nell’orientamento, cui faceva parziale eccezione il pittore Ardengo<br />

S<strong>of</strong>fici, già futurista ma allora ormai orientato su un’interpretazione severa della<br />

tradizione pittorica italiana. Ugo Ojetti, di cui inizialmente si parlava come possibile<br />

Commissario, critico nettamente conservatore, fu subito silurato da Marinetti con un<br />

<strong>art</strong>icolo sull’ “Ambrosiano” nel 1923, ma Te<strong>of</strong>ilo Rossi, che gli subentrò, non era certo più<br />

illuminato. I futuristi non furono infatti inizialmente considerati negli inviti, e solo dopo<br />

infinite trattative, portate avanti da Marinetti e Prampolini, il gruppo fu ammesso a<br />

p<strong>art</strong>ecipare, però al di fuori del padiglione italiano (esposero al Grand Palais) e con<br />

grande ritardo: solo nel gennaio 1925 essi ottennero la sospirata adesione, dopo un lungo<br />

e pachidermico osteggiamento da p<strong>art</strong>e di Colasanti, e grazie all’intervento diretto di<br />

Mussolini, che riuscì a sbloccare la situazione e anche a sostenerli economicamente con un<br />

cospicuo contributo economico.<br />

La p<strong>art</strong>ecipazione futurista vide dunque Balla, Prampolini e Depero dividersi uno spazio<br />

forse non felicissimo, “appena decoroso” (una zona semiellittica nell’ambito del Grand<br />

Palais, come s’è detto), ma molto più ampio di quanto gli veniva inizialmente concesso e<br />

prospettato nell’ambito del padiglione neoclassico e pomposo di Brasini. Depero<br />

presentava arazzi, cuscini, giocattoli, disegni per scialli, progetti architettonici e tutta la<br />

produzione della sua <strong>of</strong>ficina di Rovereto; Prampolini progetti teatrali e decorativi. Lo<br />

spazio dedicato a Balla era più ristretto, quasi un introibo alle sale dei più giovani colleghi,<br />

collocato in uno spazio in cima ad una scala da cui si accedeva agli spazi dedicati a Depero<br />

e Prampolini: l’<strong>art</strong>ista vi espose quattro arazzi, o meglio quattro dipinti su tela d’arazzo,<br />

Genio futurista, Mare vele vento (citato anche come Mare velivolato), entrambi di<br />

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