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Maimouna Patrizia Guerresi. Asilo polittico | di Manuela De<br />
Leonardis<br />
di Manuela De Leonardis 16 dicembre 2009 In appr<strong>of</strong>ondimenti,<strong>art</strong>i visive | 838 lettori | 2<br />
Comments<br />
Sintesi del suo lavoro di fotografa,<br />
s<strong>cult</strong>rice e video <strong>art</strong>ista, Maimouna<br />
Patrizia Guerresi ha presentato al<br />
Lucca digital photo fest 09 il suo Asilo<br />
Polittico. Un progetto nato in<br />
collaborazione con<br />
Photo&Contemporary, la galleria<br />
torinese con cui l’<strong>art</strong>ista collabora da<br />
tempo: l’ultima personale Ahwal.<br />
Stati dell’Anima (curata da Valerio<br />
Tazzetti) si è appena conclusa. Tra gli<br />
impegni invernali anche la<br />
p<strong>art</strong>ecipazione ai Rencontres de<br />
Bamako 2009.<br />
Perfettamente in sintonia con i tre diversi nuclei di opere, che però si presentano quasi<br />
come un’unica solenne ed armoniosa installazione, lo spazio espositivo dell’ex Manifattura<br />
Tabacchi, un grande ambiente dai muri scrostati, memoria di substrati emotivi.<br />
L’incipit di questo dialogo – che non è solo con il pubblico, ma anche tra i lavori stessi – è<br />
tracciato dai ritratti fotografici di giganti che posano in maniera ieratica, i cui corpi sono<br />
svuotati. “Il vuoto è inteso come oscurità, ciò che è sconosciuto e per questo<br />
temibile. La paura del diverso”, spiega l’<strong>art</strong>ista. Sono personaggi mistici dell’Africa<br />
musulmana che Patrizia (il nome Maimouna lo aggiunge a p<strong>art</strong>ire dal 1991, quando<br />
aderisce al muridismo dei bayfall) ha conosciuto durante i suoi ripetuti soggiorni africani,<br />
fondamentali nel suo percorso personale e <strong>art</strong>istico.<br />
Nelle fotografie i soggetti indossano delle vere strutt<strong>ure</strong>-vestito che lei stessa costruisce,<br />
“non c’è nulla di finto. Tutto è reale, plastico. Mi piace dare un’altra forma alla<br />
fotografia.”. E’ reale anche il fondale che Maimouna Patrizia utilizza nelle sue immagini:<br />
“dipingo o disegno sempre lo stesso muro. Lo scatto finisce con l’opera, perché<br />
poi il muro viene ridipinto”.<br />
Questa visione che gioca anche sull’idea occidentale della rappresentazione sacra in forma<br />
di polittico, è volutamente messa in relazione alla quotidianità rappresentata<br />
dall’installazione Barelle della misericordia. Ogni lettino-barella d’acciaio è illuminato da<br />
una lampadina che pende dal s<strong>of</strong>fitto e reca la scritta in arabo con il nome di un uomo o di<br />
una donna. Nomi reali, così come realistici sono i bicchierini con gli spazzolini da denti fusi<br />
in alluminio. L’oggetto del quotidiano come portavoce di un’identità, di una storia vissuta.<br />
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“E’ il duplice gioco di chi accoglie e<br />
chi viene accolto. Sono personaggi<br />
che cercano umilmente<br />
l’accoglienza – soprattutto dello<br />
spirito – dai giganti delle<br />
fotografie. Un gioco al rimando.<br />
Questi stessi personaggi – grandi<br />
anche dentro – possono essere i<br />
migranti che arrivano in Italia, alla<br />
ricerca di accoglienza quotidiana”.