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Appunti di pellegrino/1 – Suggestioni da preservare ad una<br />
tavola d’eccezione | di Carlo Gori<br />
di Carlo Gori 18 dicembre 2009 In accademie e istituti <strong>cult</strong>urali,appr<strong>of</strong>ondimenti,convegni &<br />
workshop | 446 lettori | 2 Comments<br />
Nell’ambito delle celebrazioni Unesco<br />
2009 per l’anno Grotowski,è stata<br />
presentata dal Progetto Grotowski a<br />
Roma la tavola rotonda Arte povera-<br />
Teatro povero: la rivoluzione etica degli<br />
anni ’60 presso l’Accademia di Francia<br />
a Roma.<br />
Per la prima volta si realizza un<br />
convegno che mette a confronto il<br />
Teatro povero e l’Arte povera<br />
facendo incontrare alcuni dei<br />
protagonisti di queste esperienze.Al<br />
tavolo siedono Ludwik Flaszen,<br />
Michelangelo Pistoletto, Germano Celant, Franco Ruffini e Ferdinando Taviani,<br />
modera Alessandra Mammì, mentre l’ideatrice dell’evento, Marina Fabbri, supporta<br />
Flaszen per una migliore comprensione dell’italiano. Il pubblico è numeroso nel Grand<br />
Salon di Villa Medici.<br />
A p<strong>art</strong>ire dagli anni ’60 una rivoluzione etica penetra il teatro e le <strong>art</strong>i figurative, per<br />
consolidarsi negli anni ’70. Nasce una nuova forma di critico (Ludwik Flaszen per il Teatro<br />
povero e Germano Celant per l’Arte povera), che non valuta più da lontano solo gli esiti<br />
creativi, ma che entra in scena e si mette in gioco per lavorare a supporto e a<br />
consolidamento della ricerca degli <strong>art</strong>isti. Un alter ego dell’<strong>art</strong>ista, un avvocato del diavolo,<br />
che analiticamente aiuta a svelarne i punti deboli e ad amplificarne i punti di forza, per<br />
comprendere ed indicare meglio le prospettive.<br />
Tutto ruota attorno alla parola “povero“: quale ricchezza ha portato?<br />
Germano Celant, che nel 1967 pubblica su “Flash Art” il manifesto dell’Arte povera.<br />
Sottolinea che lui e gli <strong>art</strong>isti non hanno mai definito il termine povero, che trova invece la<br />
sua espressione grazie al contesto in cui viene usato, acquisendo di volta in volta<br />
connotazioni politiche, sociali, pratiche.<br />
Se nel teatro c’era la nuova scoperta del corpo dell’attore, nell’<strong>art</strong>e c’è stato l’uso di<br />
materiali alternativi a quelli canonici e ricchi del bronzo, della tela. Terra, legno, ferro,<br />
stracci, plastica, sc<strong>art</strong>i industriali sono presi nella loro nudità, nelle loro forme primarie e<br />
immediate, per realizzare anche azioni performative e installazioni, e determinare un<br />
processo di trasformazione che ha creato una nuova relazione con il pubblico, dell’opera<br />
con lo spazio e nello spazio, della considerazione per l’ambiente e alla scoperta<br />
dell’energie p<strong>ure</strong> della natura, sviluppando una posizione critica alla società del consumo.<br />
Il riferimento “non era Grotowski, che conoscevano appena”, sottolinea Celant. L’est era a<br />
quel tempo un mondo a p<strong>art</strong>e, separato da un muro: gli stimoli venivano dall’informe<br />
americano, dal Living Theatre (conosciuto in via diretta a Genova dove abitava), dalla<br />
rottura di Pollock, o dalle esperienze sorprendenti del Gutai giapponese.<br />
Mentre il mito americano aveva una forte attrazione, l’est era conosciuto bene solo per<br />
l’aspetto costruttivista. Così, per la loro formazione, ha contato di più l’esperienza di<br />
Bacon, che hanno per così dire raffreddato, concettualizzato, e poi Beckett, S<strong>art</strong>re, il<br />
cinema, altri tipi di “poverismi“.<br />
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