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Percorsi didattici Sulle orme… dei collezionisti - Vie dell'Arte

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D’Annunzio il buon<br />

samaritano<br />

D’Annunzio l’Ecce<br />

homo<br />

Doppio ardor mi<br />

consuma<br />

progetto 7 Il Maestro del fuoco progetto 7 Il Maestro del fuoco<br />

omen dominus mihi adiutor intacta triumpho nec fulmen metuo nec hyemen sic nutrior atque<br />

quiesco durabo (Il Signore è mio aiuto, manterrò il buon presagio nel trionfo intatta, non<br />

temo né il fulmine né il freddo, così io sono nutrita e riposo). Scrive il poeta in un passo del<br />

Comento meditato a un discorso improvviso nel Libro ascetico della Giovane Italia: «Portate<br />

qui l’incudine, e incoroniamola segno di costanza. Durabo». Si tratta di un classico esempio<br />

di oggetto parlante dannunziano che si avvicina, all’idea dell’«impresa» rinascimentale<br />

Nella sua opera poi, l’arengo appare come un sodalizio tra poveri, come luogo della<br />

compassione e solidarietà popolare. <strong>Vie</strong>ne rievocata a riguardo anche un’immagine<br />

dell’infanzia, perché, come spesso accade nell’opera dannunziana, al centro c’è una<br />

performance infantile che torna a ispirare gli atteggiamenti dell’uomo nella maturità:<br />

«Io parlo ai miei operai nel mio giardino. Li faccio sedere. Io rimango in piedi. Mi conoscono.<br />

Sanno, per testimonianze certe, che [...] sempre i famigli di qualunque sorta hanno mangiato<br />

il mio medesimo pasto e che questa “eguaglianza”, [...] non fu mai negletta né diminuita.<br />

Sanno che il mio primo amico, l’amico della mia prima infanzia, fu un poverello che si<br />

chiamava Cincinnato, [...] e che gli davo ogni giorno la mia merenda; e che quando mia<br />

madre una volta lo seppe e volle rinnovarmela, io non la presi perché mi pareva di sentir<br />

menomato il piacere dell’offerta; e che questo, di me, piacque a mia madre e che questo, di<br />

me, piace anche a me.»<br />

Ne La prima voce dell’arengo, discorso pronunciato a Fiume 12 settembre 1919 d’Annunzio<br />

si presenta come Cristo: «Ecco l’uomo; che tutto ha abbandonato di sé e tutto ha<br />

dimenticato di sé per esser libero e nuovo al servigio della Causa bella, della Causa vostra:<br />

la più bella nel mondo, e l’eccelsa, per un combattente che in tanta bassezza e in tanta<br />

tristezza cerchi ancora una ragione per vivere e di credere, di donarsi e di morire.»<br />

Più oltre, verso l’agrumeto e il frutteto, troviamo il pilo della Reggenza e la colonna Marciana,<br />

con la più alta antenna del Vittoriale, sulla quale veniva issato il gonfalone di San Marco che<br />

sventolava fra i cipressi di Aquileia, dono <strong>dei</strong> combattenti all’eroe di guerra.<br />

La Nave «Puglia» - il sacro rottame<br />

Verto oculos orienti soli ut vulnerem iterum<br />

«Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per<br />

acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro, non pingue retaggio di ricchezza inerte<br />

ma nudo retaggio di immortale spirito [...] Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato[...]<br />

Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio<br />

presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo<br />

o disaccordo di colori [...] Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara.<br />

La grande prora tragica della nave”Puglia” è posta in onore e in luce sul poggio, come<br />

nell’oratorio il brandello sanguigno del capo di fanti ucciso...». (Per l’inviolabile integrità del<br />

Vittoriale interamente donato)<br />

Era il 1923 quando l’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Ravel donò a Gabriele d’Annunzio<br />

il Regio Ariete Torpediniere «Puglia». Era stata varata a Taranto il 22 settembre 1898 e,<br />

divenuta la prima nave da guerra della flotta militare italiana, venne impiegata inizialmente<br />

nella Prima Guerra Mondiale. Tra il dicembre 1915 e il febbraio 1916 aveva protetto insieme<br />

ad altre navi, la ritirata dell’esercito serbo incalzato dalle armate imperiali austriache. L’undici<br />

luglio 1920 a Spalato, in Dalmazia, fu poi al centro di un grave fatto di sangue che la rese<br />

testimone dell’atto di coraggio del motorista Aldo Rossi e del capitano Tommaso Gulli, uccisi<br />

durante una rivolta antitaliana degli slavi. Il comandante, benché ferito a morte, nascose<br />

la gravità del suo stato, mantenendo l’ordine ed evitando che i marinai attuassero una<br />

rappresaglia contro la popolazione della città. Con il suo martirio dimostrò così il suo amore<br />

per le terre e le genti italiane al di qua e al di là del mare Adriatico.<br />

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La motivazione della medaglia d’oro assegnatagli spiega:<br />

«Ascoltando l’impulso generoso della sua anima fiera di<br />

soldato italiano, era accorso inerme, sapendo in pericolo<br />

quasi mortale ed inermi essi pure i suoi marinai in mezzo alla<br />

steppa selvaggia e sfrenata di Spalato; moriva serenamente,<br />

come gli antichi eroi della stirpe, il marinaio generoso,<br />

consacrando del suo sangue gentile anche una volta questa,<br />

zolla sacrata da tanto secolare martirio, e rinsaldava di tutto<br />

lo spasimo del nostro tormento, di tutta la grandezza del suo<br />

sacrificio, il patto d’amore indissolubile, inviolabile, da fratelli<br />

a fratelli, fra le due sponde congiunte e non mai divise del<br />

mare ch’è nostro ».<br />

L’atteggiamento che più affascinò d’Annunzio fu l’estremo<br />

atto di coraggio di cui il Gulli fu protagonista in ospedale,<br />

quando, ormai agonizzante, nonostante il pericolo di morire<br />

dissanguato, volle strapparsi le bende per vedere le ferite.<br />

Così doveva fare l’Italia - disse il poeta - non nascondere,<br />

ma guardare le proprie ferite.<br />

La nave, destinata a essere demolita nel 1923, fu accettata<br />

di buon grado da d’Annunzio che immediatamente ne<br />

predispose il montaggio e la messa a nuovo: la prua rimase<br />

quella originale mentre la poppa, aggiunta nel 1933, fu<br />

riedificata in muratura; venne poi posizionato l’albero di<br />

poppa. La sua posizione verso est doveva accompagnare<br />

nell’immaginario del poeta il profilo”grifagno” di Manerba nel quale egli si figurava da<br />

sempre l’effigie di Dante irato e ammonitore per le terre d’Italia ancora irredente al di là del<br />

“mare nostro”, cioè l’Adriatico.<br />

Infine, sulla prua, come polena, fu posta la Vittoria angolare, scultura bronzea realizzata da<br />

Renato Brozzi.<br />

Questa statua, simbolo delle numerose ed eroiche vittorie, regge un serto di foglie e poggia<br />

su un fascio di frecce dorate, che simulano la presenza di un rostro, accompagnata dal<br />

motto «Così ferisco», presente anche nel soffitto della Stanza del Lebbroso. Tale frase fa<br />

riferimento alla funzione della nave Puglia, nave da guerra con cui il Vate aveva attaccato e<br />

“ferito” i nemici occupanti della Dalmazia. Altro evidente riferimento alle terre dalmate, è la<br />

direzione della prua, che punta verso le coste dell’Adriatico, come se fosse sempre pronta a<br />

salpare verso nuove battaglie per la rivendicazione delle terre irredente.<br />

Il concetto di «partenza» non è legato solamente a eventi militari, ma ha anche significato<br />

religioso: più precisamente fa riferimento al culto vichingo. Alla morte di un capo infatti, le<br />

sue spoglie, poste su una nave da guerra, si allontanavano seguendo le correnti dell’oceano;<br />

anche il Vate era un comandante e come tale avrebbe solcato le impetuose acque nella<br />

sua ultima impresa, nell’ultimo viaggio verso l’eterno sonno. Del resto questa metafora è<br />

presente anche nella Sala <strong>dei</strong> Calchi dove il soffitto è simile a quello delle navi passeggeri<br />

dell’epoca. Inoltre a rimarcare il significato sacrale e funerario, la nave Puglia è circondata<br />

da cipressi, alberi che hanno assunto fin dall’antichità una funzione legata ai riti della morte.<br />

Il nome, infatti, deriva dalla triste leggenda del giovane Ciparisso, che per sbaglio uccise un<br />

cerbiatto che aveva allevato amorosamente. Per il dolore si tolse la vita e Apollo, commosso<br />

per la sua tragica fine, lo trasformò nell’albero di cipresso.<br />

L’intera opera, la nave, la sua collocazione, ogni dettaglio in questo ambiente è un esempio<br />

di ready-made: ogni oggetto se estraniato dal proprio contesto e posto su un “piedistallo”<br />

viene valorizzato, ne sono esaltati la bellezza, ma, soprattutto, il significato che viene<br />

sacralizzato, diventa un frammento di storia, un ricordo, un reperto. Così la nave Puglia<br />

non è in mare, ma nel mezzo di un bosco che è pelagus immaginario della vita. Navigatrice<br />

dell’aria, è sollevata sul promontorio «La Fida», si libra tra il cielo e le lontane acque del lago,<br />

La vittoria polena<br />

La traghettatrice di<br />

anime d’eroi<br />

La nave volante

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