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Lorenzo Natali in Europa

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ca, conforto e massima discrezione. Non ho mai udito nessuno di loro formulare un<br />

giudizio né negativo né positivo né svelare un alcunché di quello che succedeva o veniva<br />

detto <strong>in</strong> auto. Il loro lavoro fu sempre una sfida al meglio, con orgoglio. L’onorevole<br />

<strong>Natali</strong> lo sapeva e ricambiava con l’affetto del padre di famiglia che si preoccupa<br />

della stanchezza e della fame del suo personale. Sovente nelle lunghe riunioni<br />

notturne diceva: “Andate a casa, riposate e quando ho f<strong>in</strong>ito vi chiamo!”.<br />

Un giorno, di ritorno da Strasburgo, verso Metz, accadde un fatto gravissimo: la<br />

ruota anteriore s<strong>in</strong>istra dell’auto si staccò e <strong>in</strong>vase la corsia opposta dell’autostrada.<br />

Con grandissima perizia e con una capacità di guida alla Schumacher – si direbbe oggi<br />

– Salvatore Lo Bianco riuscì a tenere stabile il veicolo su tre ruote, a schivare un autotreno<br />

che sopraggiungeva e a portare sani e salvi, nella corsia di emergenza, il vicepresidente<br />

<strong>Natali</strong>, il direttore generale Frisch ed il capo di Gab<strong>in</strong>etto Paolo Pensa. Si<br />

fermò un camionc<strong>in</strong>o che trasportava delle pietre, per aiutare i malcapitati, <strong>in</strong>cravattati<br />

e vestiti di blu. L’autista, che era un italiano, si offrì di condurli alla stazione perché<br />

potessero prendere il treno e rientrare a Bruxelles. Giunti alla stazione, svuotate le tasche,<br />

<strong>Natali</strong>, Frisch e Pensa s’accorsero che non avevano abbastanza denaro per pagare<br />

il biglietto. Furono aiutati dal trasportatore che improvvisò una colletta Ritornarono<br />

a Bruxelles spett<strong>in</strong>ati e impolverati. Non si seppe mai che cosa disse <strong>Natali</strong> al direttore<br />

dell’agenzia automobilistica che aveva controllato il veicolo, ma sappiamo che al<br />

rientro disse: “Salvatore Lo Bianco meriterebbe una medaglia al valore!”.<br />

La malattia<br />

171<br />

La sera, quando era ricoverato all’ospedale Erasmus, io arrivavo, con tutta la posta<br />

che ancora perveniva <strong>in</strong> Commissione a suo nome. Era stanco, ormai nuotava nella<br />

vestaglia e nel pigiama diventati <strong>in</strong>esorabilmente troppo grandi. Il professor Le<br />

Zoche gli era sovente accanto e spesso c’era anche un’<strong>in</strong>fermiera. Vedendomi arrivare,<br />

ogni volta il vicepresidente esclamava: “Ma non è più per me, aprila e dalla a chi<br />

di dovere!”. E io ripetevo sempre la stessa frase, era diventato quasi un gioco: “Ma<br />

neanche per idea. Io non apro nulla se non davanti a lei perché deve essere lei a scrivere<br />

sopra: Pandolfi, Mar<strong>in</strong>, Delors, ecc.”.<br />

In fondo gli faceva piacere questa piccola attenzione. Con fare amichevole diceva<br />

al professor Le Zoche, o a chi si trovava nella stanza: “Maria f<strong>in</strong>ge di venire per me,<br />

per le mie lettere, ma io credo che la sp<strong>in</strong>ga il desiderio di <strong>in</strong>contrare il professor<br />

Cremer. La prima volta che l’ha visto ha esclamato: ‘Ma sembra un attore del c<strong>in</strong>ema!’”.<br />

Avevo <strong>in</strong>contrato il prof. Cremer e avevo osato chiedergli se davvero il vicepresidente<br />

era così grave. Lui aveva scosso la testa, come per dire “è arrivato al punto<br />

di non ritorno”. La conferma venne dal prof. Le Zoche. Ne ero rimasta sconvolta:<br />

non ci potevo credere e non ci volevo credere!<br />

Quando <strong>Natali</strong> partì def<strong>in</strong>itivamente da Bruxelles, l’ambasciatore Pietro Calamia,<br />

che era venuto a rendergli visita, gli propose di accompagnarlo all’aeroporto con il

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