stuono della recente storia balcanica, al di sopra del tempo e dello spazio fisico, più che per la capillare documentazione storica, appunto, che la narrazione afferma il crisma della piena credibilità e sostenibilità. Storia dolorosamente vera, quella di Ana Mladić, ma romanzata un po’ alla maniera dei libri del connazionale Javier Cercas (Soldati di Salamina, L’impostore...), in cui realtà e fiction si fondono e confondono nel segno della “menzogna” (Manganelli) che è la letteratura, dell’inganno nel quale, secondo il filosofo Gorgia, citato dallo stesso Cercas nel suo ultimo libro, consisterebbe la poesia; un inganno «in cui chi inganna è più onesto di chi non inganna, e chi si lascia ingannare è più saggio di chi non si lascia ingannare». Un inganno “più vero del vero”, insomma. Ma tornando alla fondamentale “unicità” dell’esperienza umana, quella per cui a uno scrittore, nell’atto di scrivere, è dato farsi altro, scovare l’altro in se stesso e viceversa, viene in mente il Borges de Il giardino dei sentieri che si biforcano (e di moltissimi altri luoghi del - la sua opera, si capisce), laddove scrive che «ogni cosa, a ognuno, accade precisamente, precisamente ora. Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell’aria, sulla terra e sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me...». Tutto, ci dice Borges, avviene simultaneamente e alla stessa persona. Che è un po’ la chiave di lettura, o una delle tante, dell’opera più recente della Usón, Valori. Anche questa uscita in Italia con Sellerio, nel 2016. In essa, in questo poliedrico e originale romanzo, l'autrice racconta più storie, che si svolgono su piani temporali diversi. Storie, più che intrecciate, giustapposte. Sono fondamentalmente tre: di una direttrice di banca e di sua figlia, tra dilemmi generazionali e imbrogli finanziari, nella Spagna di oggi; di alcuni giovani rivoluzionari, sempre in Spagna, al tempo dell’insurrezione repubblicana del 1930; e di un prete cattolico nazifascista nel campo di concentramento croato di Jasenovac durante la Seconda Guerra Mondiale. Storie in apparenza incomunicanti (almeno per buona parte del romanzo); ma, per quella “confutazione del tempo” di borgesiana memoria, per quell’eterna onnivivenza di ogni essere umano, prodigiosamente simultanee. «Non c’è presente né futuro né passato, è tutto rimescolato e come ingarbugliato», viene detto in un punto del libro. L’autrice, nella prima parte del romanzo, salta da un piano temporale all’altro, dall’una all’altra storia, senza alcuna cesura grafica, improvvisamente, senza mai avvertirne il lettore, che si ritrova continuamente sbalzato da una vicenda di oggi a una di ieri, dai “valori” di un fervente rivoluzionario del secolo scorso a quelli di un’irrequieta ragazzina dell’attuale, e via dicendo: con un effetto, più che di straniamento, di stupore; stupore nel verificare come i più disparati valori, appunto, i più antitetici, per il solo fatto di essere sostenuti e agiti nel medesimo eterno presente della storia appaiano egualmente agibili e sostenibili, di là da ogni ovvia distinzione di ordine etico. I Valori, dunque, sono al centro del libro. Religiosi e nazionalistici, nel caso di padre Casimiro, il sacerdote croato; civili, per gli artefici dell’insurrezione repubblicana; materiali, finanziari, voluttuosi, per la madre e la figlia. Ma in ciascuno di questi casi l'aspirazione dei per - sonaggi a un’istanza superiore si risolve inesorabilmente, di volta in volta, in insuccesso o in abominio; l’uomo, sembra dirci la scrittrice, non può uscire indenne dal fuoco dei propri ideali, sani o degenerati che siano. Via via che la narrazione procede verso la fine, si vanno svelando le intercon- FUOR ASSE 118
nessioni tra le diverse storie: con un esito finale, nell’ultimo capitolo, assai ingegnoso e affascinante, quasi la soluzione di un giallo, che nulla sottrae, tuttavia, all’inestricabile mistero dell’esistenza, pienamente affermato e confermato durante tutto il romanzo: con il quale, la Usón si dimostra ancora una volta, anche per mezzo di una scrittura potente senza ampollosità stilistiche, autrice capace di maneggiare le materie più scottanti della vita con grande grazia e vigilato senso estetico, senza nulla risparmiare al lettore di turpe e di venefico ma sempre nell’osservanza del canone letterario e nel segno rischiaratore della vera arte. Catalana di Barcellona, Clara Usón ha pubblicato, prima di questi ultimi due, altri cinque libri. Con La figlia (La hija del Este, come in modo forse più intrigante recita il titolo originale) ha vinto nel 2013 l’importante Premio de la Crítica assegnato dall’Associazione Spagnola dei Critici Letterari. FUOR ASSE 119 Allungare lo Sguardo
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